Bellocchio sulla dignità della scelta

La bella addormentata non è precisamente quello che ci saremmo aspettati da uno come Bellocchio su un tema come quello dell’eutanasia e in un paese come l’Italia, dove anche il suicidio assistito è un reato e dove l’ingerenza della Chiesa è ancora alla base della discussione politica. 

Non è precisamente quello che ci saremmo aspettati dall’autore di film come Sbatti il mostro in prima pagina e L’ora di religione: è molto di più. “Non mi interessa la provocazione immediata che va di moda adesso (…). Io ho affrontato con rispetto e in modo complesso un tema arduo e delicato come il fine vita”. Il film non è una presa di posizione senza possibilità di replica ma un invito alla riflessione: della morte non si può pontificare ma solo esprimere una opinione.

Ci troviamo nei giorni in cui Eluana Eglaro viene fatta trasferire dal padre dalla clinica di Lecco, dove si trovava in uno stato di coma vegetativo da 17 anni, alla clinica di Udine, per interrompere l’alimentazione artificiale. Sullo schermo si incrociano le vicende dei personaggi intrecciate tra di loro e con la lotta politica in atto in quei giorni per l’approvazione del decreto di urgenza voluto dal governo Berlusconi contro l’interruzione dell’alimentazione artificiale. Un senatore del pdl, costretto in passato a vivere sulla propria pelle vicende legate all’eutanasia, si reca a Roma deciso a votare contro il decreto legislativo proposto dal proprio partito. Sua figlia si reca ad Udine a pregare di fronte alla clinica dove è ricoverata Eluana e proprio qui conosce Roberto ed il fratello che contrasta con forza le manifestazioni cattoliche di fronte alla clinica. Una madre piange di fronte alla televisione che annuncia la morte di Eluana poi torna nella stanza di sua figlia che come una bella addormentata di disneyana memoria, capelli biondi sparsi ordinatamente sul cuscino e piccole labbra rosse, giace immobile in coma su un letto, e chiede che vengano tolti tutti gli specchi dalla casa perché anche l’ultimo vessillo della propria immagine scompaia ai suoi occhi e possa avvenire il definitivo annullamento nella speranza che la bella addormentata si svegli. Un medico impedisce ad una drogata di uccidersi passando lunghe notti accanto al suo letto.

Tutte queste visioni si fondono tra di loro e ci offrono le tante e difficili sfaccettature di un tema che sembra negare per la propria complessità, la possibilità di prendere posizioni nette. Questo non vuol dire che Bellocchio non prenda posizione: i senatori coperti da asciugamani bianchi annodati a coprire una sola spalla si ritrovano in una scena memorabile in un bagno turco di romana memoria, uno psichiatra interpretato da un magistrale Roberto Herlitzka distribuisce psicofarmaci dai nomi tranquillizzanti di fronte a qualsiasi accenno di crisi di coscienza, il Senatore Toni Servillo contorce l’espressione in una smorfia di dolore mentre il presidente Silvio Berlusconi commenta in televisione il fatto che Eluana abbia il ciclo mestruale, e sempre il senatore pronuncia un memorabile discorso che si apre così: “La grandezza di Beppino Englaro, in un’Italia cinica e depressa, è stata quella di agire nel rispetto della legge”, la madre si rifugia in una religione paracadutistica dove grida un “più forte” ad ogni Ave maria delle suore che la accompagnano.

E tuttavia tutto rimane valido, tutto risulta in fin dei conti ammissibile, perché il vero tema è quello della libertà di scelta. C’è un’unica bella addormentata, e non è Eluana perché non può risvegliarsi, ma è Rossa, la donna drogata, interpretata da una superba Maya Sansa. Rossa, in un toccante dialogo con il medico che tenta di impedirle di uccidersi, gli ricorda che la clinica svizzera dove consentono l’eutanasia si chiama Dignitas, e tra tutti i personaggi sarà infine l’unica a poter davvero scegliere.

La fotografia di Daniele Ciprì è magnificente, spicca in particolare nelle atmosfere nebbiose del bagno turco, o nella cupezza livida della casa della madre in netto contrasto con il candore della stanza dove la bella addormentata giace. I primi piani sono lunghi, intensi e sostenuti da attori più che all’altezza, resta indimenticabile lo sguardo di Servillo alla richiesta della moglie “aiutami”: alcuni lunghissimi secondi di silenzio e negli occhi il puro vuoto. Peccato solo per la pessima interpretazione di Brenno Placido, ci si chiede se per Bellocchio un nome possa davvero valere tanto.

Milan Kundera scriveva in uno dei suoi libri più ispirati, Il valzer degli addii: “Ognuno dovrebbe ricevere del veleno quando diventa maggiorenne. Dovrebbe essergli consegnato con una cerimonia solenne. Non per incitarlo al suicidio. Al contrario perché possa vivere con maggiore serenità e sicurezza. Perché possa vivere sapendo di essere padrone della propria vita e della propria morte.”

di Claudia Durantini

Foto: artribune.com

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