Ave, Cesare! – La Hollywood degli anni ’50 secondo I fratelli Coen

ave cesareHollywood, anni ’50. Eddie Mannix (Josh Brolin) lavora come capo di produzione alla casa cinematografica Capitol Pictures. È un fixer, ossia un faccendiere, o meglio un risolutore di quei mille piccoli grandi problemi che capitano durante una giornata sui set cinematografici – e non solo-, stretto tra una famiglia che riesce a godersi poco e la tentazione di cambiare completamente vita ed accettare l’offerta dell’industria aerospaziale Lockheed Corporation. Tra scandali da far tacere, giornaliste ficcanaso da tenere a bada, attori di poco talento da piazzare e registi talentuosi quanto capricciosi da assecondare, Eddie dovrà pure risolvere l’increscioso caso del rapimento della stella Baird Whitlock (George Clooney) ad opera di una congregazione di sceneggiatori comunisti che pretende un riscatto di 100.000 dollari.

L’ultima commedia dei fratelli Coen è un accorato omaggio alla Hollywood della Golden Age del dopoguerra, quando negli immensi set di Los Angeles si realizzavano veramente sogni per spettatori in cerca di intrattenimento: dai western avventurosi e sentimentali (l’ottimo Alden Ehrenreich nella parte di un mandriano diventato star di film western pur senza sapere recitare), al musical con balli e tip tap alla Gene Kelly (rivisitato dal sorridente marinaio di Channing Tatum), dai peplum in costume, storici o a sfondo religioso, ai drammi psicologici raffinati ad ambientazione borghese (dove Ralph Fiennes si diverte a giocare al regista aristocratico inglese), fino alle fantasie acquatiche tutte incentrate sulle perfette e sgargianti coreografie kitsch, alla maniera di Ester Williams, in cui una scontrosa “sirena” (Scarlett Johansson) dovrà vedersela con una maternità non gradita all’entourage.

2D3F744800000578-3266977-image-m-4_1444420126376È un film “coeniano” a tutti gli effetti: e non solo per la solita, egregia fotografia di Roger Deakins che, a cominciare dal loro primo film dedicato a Hollywood, Barton Fink, dal ’92 cura fedelmente la coerenza figurativa di ogni loro pellicola. L’indiscussa maestria tecnica dei terribili fratelli del Minnesota è come al solito accompagnata da una innata capacità di affrontare argomenti e tematiche disparate, divagando piacevolmente dal genere che affrontano, attraverso un processo continuo di scomposizione e destrutturazione della materia filmica.

Una giornata dentro la Hollywood degli anni ’50 diventa così un pretesto per raccontare i tic e i vizi umani, le loro paure – i costanti riferimenti alla fede e alla figura cristologica, ripresi da A serious man ma qui presentati in chiave più dissacrante e scanzonata-, i loro sogni (i sogni degli spettatori che riflettono i sogni degli attori: sogni di gloria, di celebrità, ma anche sogni di normalità come una famiglia e dei figli); ci sono poi i Grandi Sogni, quelli degli sceneggiatori comunisti, ad esempio, i sognatori per eccellenza, che vorrebbero usare Hollywood per sabotarla dall’interno, e che riuniti in una confraternita intendono chiedere un indennizzo pecuniario al loro sfruttamento intellettuale, nonostante il maccartismo sia ormai alle porte.

L’Ave Cesare! del titolo fa riferimento all’ambizioso fittizio film peplum ambientato nell’antica Roma ai tempi di Gesù Cristo, che vede protagonista il personaggio del centurione romano interpretato dalla superstar della Capitol, Baird Whitlock, un George Clooney che conclude la “Trilogia dello stupido” dei Coen, iniziata nel 2000 con Fratello, dove sei? e proseguita nel 2003 con Prima ti lascio poi ti rovino.

40274Come sempre accade nei film dei Coen, il cast e la direzione degli attori sono eccellenti: anche nei ruoli secondari, tutti sembrano voler rappresentare i tasselli di un puzzle (Tilda Swinton, Johah Hill, Frances Mc Dormand, Cristopher Lambert), che è reso uniforme anche dall’ammirevole prova del protagonista, Josh Brolin, alla terza collaborazione con i due fratelli, dopo Non è un paese per vecchi e Il grinta.

È un film rivolto a spettatori in cerca di una risata mai banale, a un pubblico che potrà gustarsi le innumerevoli citazioni cinematografiche (spesso i Coen sono stati – a torto- accusati di essere un po’ troppo snob a causa della loro – indubbia – cultura filmica), cogliere le somiglianze e le differenze tra il jet set della Hollywood di allora e quella odierna, constatare la fine di un’epoca per il cinema che, pur con tutte le sue contraddizioni, non potrà mai più essere eguagliata in grandezza e miticità: la televisione è alle porte e ben presto nulla sarà più come prima.

Nonostante il solito cinismo corrosivo, questa volta si percepisce maggiormente l’affetto gioioso per un certo modo di fare cinema, quasi una lettera d’amore ad una Leggenda che non c’è più. Un film soffice, leggero e colorato come la Hollywood in Technicolor della Golden Age.

di Fabio Rossi 

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