Arte povera a Roma, quali sono i principali esponenti

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Arte povera. Nel ventesimo secolo la pittura astratta ha progressivamente occupato spazi precedentemente di competenza dell’arte figurativa. L’unico circolo artistico innovativo del secolo scorso, in campo figurativo è stato quello della “scuola romana” degli anni trenta e quaranta. Nel dopoguerra ha preso piede la cosiddetta arte concettuale. Cioè quell’espressione artistica dove i concetti e le idee sono più importanti del risultato estetico dell’opera.

Soprattutto nelle gallerie torinesi, genovesi e milanesi si è poi sviluppata una branca di questa tipologia artistica: l’arte povera. Essa fa ricorso a materiali come la terra, il legno, il ferro, gli stracci, la plastica, gli scarti industriali. In sede di esposizione, tale tipo di arte cura soprattutto l’installazione dell’opera in relazione all’ambiente espositivo. Spesso la stessa si evolve e mira a un “azione” performante.

A Roma l’arte povera è giunta in un periodo successivo rispetto all’Italia del Nord. Non prima dell’inizio degli anni sessanta. Fu in quell’epoca che nuovi artisti, in gran parte non romani, cominciarono a frequentare il Caffè Rosati di Piazza del Popolo. Ivi si fecero conoscere e apprezzare dagli altri artisti e critici d’arte. Per poi esporre soprattutto a “La tartaruga”, galleria principale del milieu artistico romano dell’epoca. Ecco allora chi sono stati i principali artisti che hanno introdotto a Roma l’arte povera.

Arte povera, i primi suoi esponenti

Il marchigiano Eliseo Mattiacci si diploma all’Istituto di Belle Arti di Pesaro nel 1959. Due anni dopo espone per la prima volta in una collettiva della Galleria Nazionale d’Arte Moderna dedicata ai giovani artisti. Ivi si aggiudica il primo premio con l’opera Uomo meccanico, realizzata in metallo con materiali di recupero assemblati. Si trasferisce definitivamente a Roma nel 1964, dove frequenta l’ambiente culturale della capitale.

Nello stesso anno, alla Galleria “La Salita” di Via di San Sebastianello, espone per la prima volta a Roma il genovese Giulio Paolini. Presenta una serie di pannelli di legno grezzo appoggiati alla parete, che suggeriscono l’idea di una mostra in allestimento.

Il barese Pino Pascali, invece,si diploma al liceo artistico di Napoli. Nel 1956 viene a vivere a Roma, dove si iscrive all’Accademia di Belle Arti. Ivi frequenta le lezioni di Toti Scialoja. Nel 1965 realizza la sua prima personale presso “La Tartaruga” di Piazza del Popolo. Poi a “L’Attico”, all’epoca in Piazza di Spagna. In soli tre anni ottiene un notevole riscontro da parte della critica. Insieme a Jannis Kounellis è a lui che si deve la diffusione a Roma dell’Arte povera. Proprio all’apice della sua carriera, muore prematuramente nel 1968 per le conseguenze di un grave incidente in motocicletta.

Arte povera, Jannis Kounellis

Il citato Jannis Kounellis, nato nel 1934 al Pireo, non era stato ammesso alla Scuola di Belle Arti di Atene. Decide così di trasferirsi nella Capitale d’Italia dove giunge il giorno di Capodanno del 1956. All’Accademia di Belle Arti di Roma – che invece lo accoglie – è allievo di Toti Scialoja. A Scialoja Kounellis deve l’influenza dell’espressionismo astratto sulla sua arte informale. Esordisce nel 1960 allestendo la prima mostra personale a “La Tartaruga”.

Le prime opere di Kounellis relative all’arte povera risalgono al 1967, utilizzando prodotti e materiali di uso comune. La sua arte suggerisce una funzione radicalmente creativa, con riferimenti alla mitologia greca. Le sue scenografie circondano lo spettatore in uno spazio a volte riempito di animali vivi o dal fuoco che esce da una bombola a cannella. Tali presenze si contrappongono alle geometrie della scena realizzate con materiali industriali. In seguito l’arte entusiasta di Kounellis sembra caricarsi di disincanto e di frustrazione. Tanto che anche gli animali vivi sono sostituiti da quelli impagliati.

Esponenti romani di Arte povera

Il romano Sergio Lombardo esordisce nel 1958 in una mostra collettiva nell’ambito del Premio Cinecittà. Solo alla metà degli anni sessanta si distacca pienamente dalla Scuola di Piazza del Popolo con i suoi Supercomponibili. Si tratta di moduli minimali in fòrmica o in legno laminato da combinare o disporre secondo criteri inventati dal pubblico. La sua opera più famosa è 127 Cubi: disponi 127 cubi nel modo più semplice. Poiché 127 è un numero primo, indivisibile, nessuna composizione può risultare regolare o completa. Avanza o manca sempre almeno un cubo. Oppure bisogna costruire diversi parallelepipedi. O ammucchiare i cubi a caso.

Cesare Tacchi, anch’egli romano, inizia a esporre nel 1959 a soli 19 anni. In seguito diviene noto per le sue originali “tele imbottite”. Principalmente I guardiani della primavera pop e Primavera allegra. In tali opere Tacchi dona tridimensionalità utilizzando tappezzerie con relative imbottiture. Su esse poi dipinge con smalto nero, con riferimenti a motivi floreali. Famosi sono anche i suoi mobili impossibili: divani, poltrone, sedie, tutte inutilizzabili. Nel maggio 1968 Tacchi presenta a “La Tartaruga” la performance Cancellazione d’artista. Dietro un vetro trasparente, cancella gradualmente la sua figura stendendo un velo di pittura sul diaframma che lo separa dal pubblico.

Alighiero Fabrizio Boetti o meglio: “Alighiero e Boetti”

Il torinese Alighiero Fabrizio Boetti, uno dei maggiori esponenti dell’arte povera in Italia, si trasferisce una prima volta a Roma-Trastevere nel 1972. Inizia a firmarsi “Alighiero e Boetti”, compiendo così uno sdoppiamento simbolico fra sfera privata – il nome – e sfera pubblica – il cognome.

Boetti realizza “carte massaggiate”, attraverso la tecnica del frottage, basata sul principio dello sfregamento. Sovrappone cioè un foglio di carta o una tela a una superficie che ha rilievi più o meno marcati. Come la pietra, il legno o qualsiasi altra cosa che non sia liscia. Utilizzando pastelli, gessetti, o carboncini, l’artista sfrega il supporto, lasciando affiorare a poco a poco i rilievi del materiale sottostante. La sua inquietudine lo spinge a lasciare la Città Eterna per l’America già tre anni dopo e per dieci anni.

Vi si ristabilisce nel 1985 in un nuovo studio a Via del Pantheon. Con il contributo di donne afghane rifugiatesi in Pakistan, l’artista concepisce nuovi lavori a ricamo. Hanno ad oggetto mappe aggiornate del mondo, scacchiere di lettere colorate, arazzi monocromi. Presenta per la prima volta le Copertine. Consistono in ricalchi a matita della prima pagina dei periodici di informazione più diffusi nel mondo. Espone in tutto il mondo, prima di venire meno per un tumore nel 1995.

Conclusioni

È un’arte di difficile comprensione, la “povera”. Anche se lo scopo dei suoi autori non è quello di essere compresi ma di suscitare reazioni da parte dell’osservatore/fruitore. Spesso tali reazioni, da parte dell’uomo della strada sono inconsapevoli. Come quella dell’attrice Anna Longhi, moglie di Alberto Sordi nell’episodio “Le vacanze intelligenti” del film “Dove vai in vacanza?”.

Nel visitare la Biennale di Venezia, la stanca Anna Longhi si siede su una sedia per riposarsi. Ma la sedia fa parte dell’opera di un’artista “concettuale” esposta nella sala. Quando giunge il marito, la fa rialzare, temendo una brutta figura. L’episodio, ideato dallo stesso Sordi, dovrebbe rendere ridicola l’arte contemporanea. Ma in realtà dimostra che raggiunge il suo scopo: suscitare reazioni da parte del suo fruitore, qualunque essa sia.

Foto di Gábor Adonyi da Pixabay

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