“Addio Lazio: questo gobbo non porta fortuna!”. Così recitava uno striscione romanista in un derby di fine anni ottanta, quando la società biancoceleste era sull’orlo del fallimento e prossima alla retrocessione in serie B. Il riferimento è inequivocabilmente per il “Gobbo” laziale: Giorgio Chinaglia, allora presidente del club. Il gobbo o “Long John”, come altrimenti era soprannominato, è morto ieri, primo aprile, nella sua casa a Naples, in Florida.
Altro lutto dello sport italiano che perde una personalità vigorosa e selvaggia; l’incarnazione italiana originale dell’espressione “genio e sregolatezza”. Una volta tanto Chinaglia ha messo d’accordo tutti: se ne è andato in punta di piedi lasciando un dolore comune a tutti gli sportivi. Aveva riacceso la rivalità cittadina in una Roma abituata a un ruolo da comprimaria, dapprima riportando la Lazio in serie A e in seguito conducendola al suo primo scudetto solo due anni dopo, nel ’74.
Cavalcò sempre l’onda dei suoi successi e, forte del titolo di capocannoniere vinto nell’anno del tricolore, “pretese” la maglia azzurra nei mondiali di quell’estate. Celebre rimarrà nei ricordi di tutti l’immagine della polemica col ct Valcareggi, dopo che l’ebbe sostituito in un incontro di quella manifestazione. Chinaglia era molto più di un bomber: era il capitano, il simbolo, l’eroe di una società. Fonte di ispirazione per sfottò e encomi. Aveva abbandonato il nostro calcio per essere l’alfiere di un nuovo orizzonte. È grazie a calciatori come lui che il nacque il soccer americano, grazie a coloro che sposarono un progetto ricco e magari ancora glorioso, tramutando la fine della carriera in una lauta pensione anticipata.
La sua parentesi a New York con i Cosmos, condita da cinque titoli americani, era stata riaperta recentemente, con la ricostituzione della società scomparsa a fine anni ottanta, di cui era stato nominato ambasciatore appena pochi mesi fa. L’amore per la sua Lazio lo aveva portato ad assumerne la presidenza subito dopo la parentesi americana, non trovando però fortuna nè sportivamente, né economicamente. Fu costretto a vendere ma per l’aquila rischiò molto anche in seguito.
Dopo il crac di Cragnotti tentò di guidare una cordata mista di ungheresi e sanmarinesi al vertice della Lazio. Non solo non riuscì nell’idea, ma fu persino accusato di truffa, implicazioni camorristiche e favoreggiamento alla stessa malavita campana. La macchia che lo sporcò lo costrinse alla latitanza estera. Le sfortunate vicende non oscurino però la vita di sacrificio; la gavetta nella serie C tra Massese e Internapoli e la generosità con cui era approdato anche a giocare in prima categoria abruzzese con la maglia del Villa San Sebastiano tra l’89 e il ’90, dopo una carriera ricca di fama.
Chinaglia ha lasciato il segno ovunque: dalla sua toscana, a Roma, all’america, per non parlare del piccolo borgo abruzzese dove oggi tutti gli sportivi lo ricordano con fierezza. Anche stavolta non è bastata la gobba a portargli fortuna. Se ne va dopo un infarto a soli 65 anni. Con la celebre testa bassa tra le spalle e la testardaggine di voler dimostrare il tuo valore, ti ricorderemo così. Addio Long John, mancherai a tutti.
Daniele Conti
foto: giornalettismo.com
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