Processo a Salvini

In Italia i reati commessi da un ministro nell’esercizio delle sue funzioni sono soggetti al dettato dell’articolo 96 della Costituzione e della legge costituzionale n. 1/1989 ad esso collegata. Tali norme affidano al cosiddetto Tribunale dei ministri la competenza dei processi e stabiliscono che per effettuarli è necessaria l’autorizzazione del ramo del parlamento  competente. Se a commettere un reato è un deputato è la Camera che deve dare l’autorizzazione. Nel caso di un senatore è competente il Senato.

Il Tribunale dei ministri è un collegio di tre magistrati estratti a sorte tra i membri del distretto territoriale dove si è verificato il reato. Nella prassi il collegio viene chiamato Tribunale dei ministri, ma la legge 1/1989 non usa questa espressione. Essa afferma che la Camera o il Senato, alla luce di una istruttoria predisposta da una apposita giunta, possono, a maggioranza assoluta e con valutazione insindacabile, negare l’autorizzazione a procedere se di ritiene che l’inquisito abbia agito per la “tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo”.

Quanto sopra descrive, in estrema sintesi, i presupposti che possono portare un membro del governo ad essere sottoposto a un processo. Il 24 gennaio scorso il Tribunale dei ministri di Catania ha chiesto l’autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno Matteo Salvini per la vicenda della nave della guardia costiera italiana Ubaldo Diciotti. Questa nave il 15 agosto 2018  aveva salvato 177 migranti al largo di Malta. Dopo il salvataggio Salvini aveva negato l’autorizzazione allo sbarco e la nave era rimasta ormeggiata per giorni nel porto di Catania. L’autorizzazione arrivò il 26 agosto. Contemporaneamente arrivò la notizia che il ministro Salvini era indagato per sequestro di persona.

Chiedo al Senato di essere processato. Anzi no

Una prima riflessione riguarda la considerazione del ruolo del potere esecutivo, proprio del governo, rispetto a quello della magistratura. In uno Stato di diritto i due ruoli sono separati e indipendenti. Il ministro Salvini con le sue esternazioni ha dimostrato di non conoscere tale distinzione. A un governo va certamente riconosciuta la prerogativa di decidere la politica dello Stato, ma ciò deve essere fatto nel rispetto delle leggi dello Stato e non al di sopra di esse. Essere stati eletti non autorizza a mettersi al di sopra della legge e di chi l’amministra. Aver dichiarato come vergognoso il comportamento dei magistrati siciliani tradisce ignoranza istituzionale. Essi hanno applicato la legge e sarebbe stato vergognoso, questo sì, se si fossero astenuti dal farlo. Avviare l’inchiesta era un atto dovuto da parte della magistratura, ovvero di una parte imprescindibile dell’impalcatura istituzionale sulla quale fonda la nostra democrazia.

Una seconda considerazione riguarda il dietrofront di Salvini, che prima chiede spavaldamente di essere processato (e parla perfino di potenziale effetto boomerang in termini di consenso popolare) e poi sollecita i senatori a negare l’autorizzazione a procedere (e lo fa attraverso la stampa, prima denigrata, e non con uno dei suoi proclami postati sui social). Cosa si cela dietro questo cambio di atteggiamento? Forse la paura? A un intervistatore che gli ha chiesto come mai abbia cambiato idea, ha risposto di aver “letto le carte”. Cosa abbia letto non è dato sapere, ma è ragionevole supporre che si tratti della legge costituzionale 1/1989 richiamata all’inizio dell’articolo. E’ però lecito chiedersi perché non l’abbia letta prima. Avrebbe dovuto farlo all’atto della notifica dell’avvio dell’iter a suo carico, visto che l’iter è previsto proprio dalla suddetta legge. Ma farlo avrebbe significato rinunciare alla retorica propagandistica via social, esercizio a cui Salvini è molto uso.

5 Stelle in imbarazzo al Senato

Una terza considerazione riguarda la tenuta del governo basato sull’alleanza di due partiti i cui leader sono contemporaneamente vicepremier (il che priva di peso politico il premier Conte ) e in cui uno, Salvini, è indagato e l’altro, Di Maio, ha dichiarato di voler votare, e con lui tutti i 5Stelle al Senato, a favore dell’autorizzazione a procedere. Se questo succederà, in accordo ai principi del movimento, le conseguenze ricadranno sull’intero governo. Per smussare le ambiguità Di Maio ha affermato che tutto il governo ha condiviso e fatto proprie le decisioni di Salvini. Ma l’indagato è solo Salvini.

In questa situazione il processo Diciotti rischia di aprire la più grave crisi dalla nascita del governo e di mettere in luce tutta l’insanabilità delle contraddizioni della convivenza. I senatori dovranno dire se aver trattenuto i migranti a bordo sia stato un atto politico nell’interesse dello Stato oppure se sia stata una decisione lesiva della dignità dei soggetti trattenuti e non riconducibile al perseguimento di un interesse dello Stato. Solo in questo caso si celebrerà il processo e gli scenari saranno quanto mai imprevedibili.

Una cosa è certa. Nelle prossime settimane assisteremo ad una accentuazione dello scontro ideologico che sta trasformando radicalmente la società italiana. Questa trasformazione è riconducibile a molte delle iniziative del governo afferenti alla migrazione e alla sicurezza come, per fare un esempio, il recente smantellamento di Castelnuovo di Porto. Una trasformazione nella quale si stenta a cogliere il “preminente interesse pubblico nell’esercizio della funzione di Governo” richiamato dalla legge costituzionale 1/1989.

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