Trump e l’oleodotto nelle riserve Lakota

oleodottoA pochi giorni dal suo insediamento, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva palesato un forte spirito protezionistico verso l’imprenditoria americana.

Dopo aver intimato ai dirigenti statunitensi di riportare i posti di lavoro negli Usa (rischierebbero multe salatissime) ed aver emesso un decreto per uscire dalla Trans-Pacific Partnership, Trump ha incontrato i vertici di alcune aziende e multinazionali quali ad esempio Ford.

L’ambientalismo? Un ostacolo

Secondo Trump, uno dei principali ostacoli alla crescita economica deriva dalla “esagerata” attenzione all’ambiente.

Per tali motivi ha assicurato che ridurrà le regole, da lui definite “fuori controllo”.

Dalle parole è così passato ai fatti, dedicandosi al piano energetico che torna allo sfruttamento dei giacimenti nazionali.

“Legge Acque” e “Piano Clima”

Il Presidente ha dichiarato “Per troppo tempo siamo stati trattenuti dal freno delle normative sull’industria energetica”, pertanto ha elaborato un piano energetico che prevede di eliminare i vincoli burocratici macchinosi.

Il Piano dovrebbe abbattere i costi energetici per gli americani ed in soli 7 anni garantirebbe un aumento salariale pari a 30 miliardi di dollari.

La dichiarazione di guerra di Trump ai pellerossa

Quali sono le conseguenze della politica di Trump?

Come prima cosa, il Presidente ha firmato gli ordini esecutivi per la costruzione di due oleodotti: il Keystone XL, lungo 1700 miglia, dovrebbe portare il greggio più sporco del mondo (quello delle sabbie bituminose dell’Alberta, Canada) fino alle raffinerie texane del Golfo del Messico, producendo 181 milioni di tonnellate equivalenti di CO2 all’anno ed il Dakota Access Pipeline.

Il Keystone era stato bloccato nel 2015 dall’amministrazione Obama, secondo cui il progetto non era nel miglior interesse del Paese.

La scelta di fermare tutto e chiedere un’attenta valutazione di impatto ambientale era stata vista come una grande vittoria tribale.

La decisione aveva portato a un ricorso al North American Free Trade Agreement (Nafta) da parte di TransCanada, secondo cui l’Amministrazione Usa aveva agito “politicamente”.

Strano a dirsi: Nafta è il trattato per il quale Trump ha annunciato una radicale revisione, fino all’annullamento, perché non è nell’interesse del Paese.

Per quanto riguarda invece la costruzione del Dakota Access Pipeline (Dapl), lungo 1.172 miglia e che dovrebbe collegare i giacimenti petroliferi di Bakken del North Dakota a un hub di distribuzione in Illinois, essa è stata scongiurata a seguito delle proteste dei nativi e degli attivisti di tutto il mondo, che da mesi presidiano l’area di Standing Rock, scontrandosi spesso con la polizia e dando vita a scene che ricordano in qualche modo le marce di Selma a Montgomery (che dal 1965 segnarono l’inizio della rivolta per i diritti civili dei neri negli Stati Uniti).

Le proteste hanno costretto l’U.S. Army corps of engineers a ordinare una dichiarazione di impatto ambientale completa e a bloccare i lavori.

Per i nativi si tratta di zone sacre, poiché ivi sorgono cimiteri e luoghi di culto, inoltre l’oleodotto contaminerebbe le loro risorse idriche, visto che in parte passa sotto il fiume Missouri.

Il pericolo si avvicina

Adesso toccherà al nuovo Segretario di Stato Usa, Rex Tillerson, ex amministratore delegato della ExxonMobil, (la più grande multinazionale petrolifera del mondo), approvare la licenza.

Le reazioni

La mossa di Trump sta già provocando una nuova ondata di proteste ed azioni legali dei gruppi ambientalisti, tra cui Earthjustice, che rappresenta la Standing Rock Sioux Tribe.

Anche la Standing Rock Sioux Tribe è pronta a lottare.

Intanto nei campi di protesta di Standing Rock, continuano i presidi, nonostante le temperature rigide. Ciononostante la Energy Transfer Partners, la compagnia che costruisce l’oleodotto, non intende retrocedere.

Le accuse

Trump è stato accusato di aver autorizzato gli ordini esecutivi sotto “dettatura” della Big Oil che ne aveva sostenuto la candidatura.

Utile precisare a tal proposito che Kelsy Warre, amministratore delegato di Energy Transfer Partners, aveva finanziato con cifre da capogiro la campagna elettorale di Trump.

Rick Perry, candidato alla nomina di segretario Usa all’energia, ha invece fatto parte del consiglio di amministrazione di Energy Transfer Partners, mentre il miliardario petroliere Harold Hamm, consulente energetico di Trump, alleato di Scott Pruitt, oggi candidato a dirigere l’Environmental protection agency, intende spedire il suo petrolio attraverso la Dakota Access pipeline.

In ultima analisi, ricordiamo che Trump ha investito nella Energy Transfer Partners, in una compagnia che possederà il 25% del Dapl e nella TransCanada.

di Simona Mazza

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