L’auspicabile tramonto del nazionalismo in Europa

imageA poche ore dall’esito del referendum che decreterà l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, o la sua permanenza, cosa si può dire che non sia stato già detto? Poco o niente. Una considerazione è tuttavia ancora possibile. L’esito del referendum influenzerà fortemente i sentimenti nazionalisti in Europa. Nel bene e nel male. Se vincerà, Brexit sarà contagioso. Il nazionalismo dell’Inghilterra si propagherà in altri paesi e nazioni. Sarà, probabilmente, l’inizio della fine del sogno europeo. Se invece Brexit perderà – il che è auspicabile – ciò arrecherà un duro colpo al nazionalismo inglese e a tutti i nazionalismi, in particolare a quelli che agitano gli animi nel vecchio continente.

Storicamente il nazionalismo si è manifestato in modi diversi e contrapposti. Ad esempio come ideologia di liberazione dall’oppressione. In Italia questa ideologia ha alimentato i moti rivoluzionari del risorgimento e contribuito alla realizzazione dell’unità. Ma il nazionalismo si è manifestato anche come ideologia di supremazia di una nazione sulle altre. Le idee nazionalistiche, nate durante la rivoluzione francese stabilendo il passaggio dal concetto di popolo a quello di nazione, portarono poi alle guerre napoleoniche. Dopo la caduta dell’imperatore e la restaurazione, dalle ceneri del nazionalismo francese è sorto il principio di autodeterminazione dei popoli in chiave più democratica e liberale.

La storia europea dell’ultimo secolo ha evidenziato il pericolo rappresentato dalla possibilità che sui sentimenti nazionalistici del popolo potessero far presa la dottrina e la propaganda di movimenti tutt’altro che democratici e liberali, fascismo e nazionalsocialismo in primis.

La questione è se nell’Europa del XXI secolo i nazionalismi abbiano ancora significato.
I problemi che attanagliano l’Europa sono sovranazionali. Migrazione, terrorismo, sicurezza, difesa, politica estera e persino i cambiamenti climatici, ci riguardano più come continente che come singole nazioni. La risposta che dovrebbe essere data a tali formidabili questioni dovrebbe essere unitaria e globale e non frammentata e locale, contrapposta e litigiosa. E poi c’è l’economia. L’Unione Europea è nata dalla volontà di creare un mercato comune unico e sulla convinzione che questo potesse portare sviluppo, posti di lavoro e ricchezza.

Nelle ultime settimane è emerso chiaramente e in modo unanime che Brexit comporterebbe una perdita di posti di lavoro e di ricchezza. Ciò avverrà in tutta Europa, tuttavia sarà soprattutto la Gran Bretagna a subire le conseguenze più negative in termini economici. Come è possibile che, nonostante questa chiara e condivisa prospettiva, circa la metà degli inglesi voglia lasciare l’UE? Ho posto questa domanda a mia nipote, avvocato, da un anno ad Oxford per un dottorato di ricerca. La sua risposta esprime in toto le contraddizioni che caratterizzano l’attuale momento aldilà della Manica:

Essendo una città universitaria che vive di immigrati, tra cui tanti sono gli europei, la comunità oxfordiana è in fermento per il referendum. L’atmosfera generale è molto IN, ma la maggior parte delle persone impegnate nei dibattiti pro-Europe, organizzati ovunque, non ha il diritto di voto! La cosa sconvolgente è quanto “politico” e non “economico” sia il dibattito. Di fronte a chiari dati su quanto disastrosa per l’economia inglese sarebbe l’uscita dall’EU, la risposta – sorda e ripetuta come un mantra – è quella del bisogno di affermare la propria sovranità a fronte di decisioni unilaterali prese da un’Europa non-democratica comandata dalla Germania. Il velo di verità che può esserci in queste critiche è rigirato in pura retorica nazionalista e di chiusa arroganza. L’impressione è quella di un paese stizzito dal fatto di aver dato molto e ricevuto poco, il che è perlomeno opinabile …

Questo, pur nella semplicità e immediatezza di un giudizio a caldo, il parere di un’italiana che vive da un anno in un luogo, Oxford, deputato all’analisi e alla discussione. Il dibattito, dunque, è più politico che economico. Aggiungerei che si tratta di un dibattito sordo, cieco e poco lungimirante, soffocato dai rigurgiti populisti di chi strumentalizza i problemi per fomentare paura. L’assassinio di Jo Cox è imputabile, più che all’insulso atto dell’attentatore, a chi negli ultimi mesi di propaganda martellante ha condizionato il suo cervello e ha armato la sua mano. Oggi, giorno del referendum, Jo Cox avrebbe compiuto 42 anni. Probabilmente gli inglesi indecisi sono stati colpiti da questo orribile omicidio. Se il referendum vedrà la sconfitta di coloro che sostengono Brexit, ciò avverrà di misura e il sacrificio della giovane parlamentare non sarà avvenuto invano.

Finisco con un’ultima riflessione storica. Nel corso della sua ultima visita in Germania, avvenuta nello scorso autunno, la regina Elisabetta ha pronunciato parole allo stesso tempo di allarme e di monito. Un monito a non dimenticare la lezione della storia, a combattere le divisioni all’interno dell’Europa, a difendere l’unità costruita dopo due guerre mondiali. La regina era stata in visita, prima volta nella sua vita, in un ex-campo di concentramento, quello di Bergen Belsen. Uno dei tanti campi in cui si è consumata l’immane tragedia dello stermino degli ebrei. Memoriali a cielo aperto di un passato neanche troppo lontano.

di Pasquale Episcopo

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