Solstizio d’inverno. Le origini del Natale

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Il periodo dei festeggiamenti per il Natale è, come ogni anno, per la moltitudine globalizzata, con giustificazioni astrattamente religiose, la folle corsa al consumismo sfrenato, senza comprendere minimamente o implicitamente che in questi giorni specifici del ciclo annuale qualcosa di straordinario e di magico accade, un evento cosmico che assumeva un alto valore simbolico in tutte le forme assunte dalla Tradizione Primordiale. Questo scritto vuole precisare il suddetto aspetto tradizionale, compenetrandolo in una visione organica, che liberi il campo da integralismi e settarismi d’ogni tipo, esplicitando il senso universale di quello che è comunemente conosciuto come il Solstizio d’Inverno, appartenente, in forme giustamente diverse, alla spiritualità di tutte le religioni del mondo. Non dimentichiamo, infatti, che quell’avvenimento iniziò ad essere celebrato dai nostri antenati, ad esempio presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna, di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslan, in Iran, e della Val Camonica, in Italia, già in epoca preistorica e protostorica. Esso, inoltre, ispirò il “frammento 66” dell’opera di Eraclito di Efeso (560/480 a.C) e fu allegoricamente cantato da Omero (Odissea 133, 137) e da Virgilio (VI° libro dell’Eneide). Quello stesso fenomeno, fu invariabilmente atteso e magnificato dall’insieme delle popolazioni indoeuropee.

Infatti intorno alla data del 25 Dicembre, quasi tutti i popoli hanno sempre celebrato la nascita dei loro esseri divini o soprannaturali: in Egitto si festeggiava la nascita del dio Horus e il padre, Osiride, si credeva fosse nato nello stesso periodo; nel Messico pre-colombiano nasceva il dio Quetzalcoath; il dio Bacco in Grecia, nonché Ercole e Adone o Adonis; il dio Freyr, figlio di Odino e di Freya, era festeggiato dalle genti del Nord; Zaratustra in Azerbaigian; Buddha, in Oriente; Krishna, in India; Scing-Shin in Cina; in Persia, si celebrava il dio guerriero Mithra, detto il Salvatore ed a Babilonia vedeva la luce il dio Tammuz, “Unico Figlio” della dea Istar, rappresentata col figlio divino fra le braccia e con, intorno al capo, un’aureola di dodici stelle. Nel giorno del Natale il Sole, viene a trovarsi alla sua minima declinazione nel punto più meridionale dell’orizzonte Est della Terra, che culmina a mezzogiorno alla sua altezza minima (a quell’ora, cioè, è allo Zenit del tropico del Capricorno) e manifesta la sua durata minima di luce (all’incirca, 8 ore e 50/55 minuti); raggiunto il punto più meridionale della sua orbita e facendo registrare il giorno più corto dell’anno, riprende, da questo momento, il suo cammino ascendente.

Nell’antica Roma, in una data compresa tra il 21 e il 25 dicembre, si celebrava solennemente la rinascita del Sole, il Dies Natalis Solis Invicti, il giorno del Natale del Sole Invitto, dopo l’introduzione, sotto l’Imperatore Aureliano, del culto del dio indo-iraniano Mithra nelle tradizioni religiose romane e l’edificazione del suo tempio nel campus Agrippae, l’attuale piazza San Silvestro a Roma, che era praticamente incluso all’interno di un più vasto ciclo di festività che i Romani chiamavano Saturnalia, festività dedicate a Saturno, Re dell’Età dell’Oro, che, a partire dal 217 a .C. e dopo le successive riforme introdotte da Cesare e da Caligola, si prolungavano dal 17 al 25 Dicembre e finivano con le Larentalia o festa dei Lari, le divinità tutelari incaricate di proteggere i raccolti, le strade, le città, la famiglia.

Il mito romano narra che il misterioso Giano, il dio italico, regnava sul Lazio quando dal mare vi giunse Saturno, che potrebbe essere inteso come la manifestazione divina che crea e ricrea il cosmo a ogni ciclo, colui che attraversa le acque, ovvero la notte e la confusione-caos successiva alla dissoluzione del vecchio cosmo, per approdare alla nuova sponda, ovvero alla luce del nuovo cosmo, del nuovo creato; come sostiene René Guénon, vi è una qualche analogia, fra il dio romano e il vedico Satyavrata, testimoniata dalla comune radice sat, che in sanscrito significa l’Uno.

Il già citato Giano, associato al dio Conso Conso, poi, era l’antica divinità latina dalle “due facce”, “dio del tempo” e, specificamente, “dell’anno” ed il cui tempietto, a Roma, consisteva in un corridoio con due porte, chiuse in tempo di pace e aperte in tempo di guerra che, sulla base della sua ancestrale accezione, designa “l’andare” e , più particolarmente, la “fase iniziale del camminare” e del “mettersi in marcia”: regolava e coordinava l’inizio del nuovo anno, da cui Ianuarius, il mese di Gennaio. Come ci conferma Franz Altheim “Ianus e Consus, nella realtà religiosa romana, si riferivano all’inizio ed alla fine di un’azione” e facevano ugualmente riferimento (… ) “ad eventi fissati nel tempo, ma che si ripetevano periodicamente”, quelli dell’eterno ritorno della luce a discapito delle tenebre. Non dimentichiamo, quindi, come la tradizione romana della festa del dies solis novi affondava le sue radici, sia nel passato preistorico delle genti indoeuropee, a cui i Romani e la maggior parte delle genti Italiche appartenevano, che in quello delle sue stesse basi di culto. 

Questo è il momento in cui, quando la notte diviene padrona e il buio totale, è necessario mantenere accesa la fiamma della Fede, che al mattino, con l’alba, diverrà trionfante. Nei tarocchi ciò che meglio identifica tale rinascita di Luce è la lama del Bagatto, che simboleggia la vera essenza dell’uomo, la cui missione è conseguire l’unione fra spirito e materia. Il Bagatto ha già davanti a sé tutti i simboli del potere materiale ed è il personaggio che intraprende l’Opera alchemica, lavorando con i tre principi e i quattro elementi (i tre piedi e i quattro angoli del tavolo), grazie alla quale ogni uomo è un metallo, che portato alla sua perfezione, viene chiamato Oro. Il senso più alto della carta è dato dal suo numero, che è l’uno e che indica il motore immobile, il Principio di tutte le cose, anche se il suo cappello a forma di otto allungato simboleggia il movimento d’elevazione spirituale che conduce alla quadratura del cerchio. Uscendo dalla Caverna Cosmica, con il Solstizio d’Inverno, perciò, si passa dal nulla all’unità, geometricamente cioè, dal divenire sensibile, rappresentato dal simbolo della circonferenza, si passa all’eterno presente, che nell’uno e nel centro si esplicita perfettamente. Significativo è, inoltre, il passo evangelico in cui Giovanni Battista, nato nel giorno del Solstizio d’estate, rivolgendosi a Gesù, nato nel Solstizio d’Inverno, si pronunci in tal modo: “Bisogna che egli cresca e che io diminuisca”. Parimenti è la rappresentazione classica del dio iranico Mithra, raffigurato mentre uccide un toro, con due dadofori ai suoi fianchi, che simboleggiano il corso del Sole: Cautes con la torcia verso l’alto (21 Giugno) e Cautopates con la torcia verso il basso (21 Dicembre). Ecco il simbolismo tradizionale delle porte solstiziali, che corrispondono rispettivamente all’entrata e all’uscita dalla Caverna Cosmica: la prima porta, quella “degli uomini”, corrisponde al Solstizio d’Estate, cioè all’entrata del Sole nel segno zodiacale del Cancro, la seconda, quella “degli dei”, al Solstizio d’Inverno, cioè all’entrata del Sole nel segno zodiacale del Capricorno. Dal punto di vista iniziatico la caverna, per via del suo carattere di luogo nascosto e chiuso, rappresenta un momento di totale interiorizzazione dell’essere, vale a dire il luogo dove avviene, accedendovi, la seconda nascita dell’uomo nuovo. 

Il Sole ritorna sempre, e con lui la vita. Soffia sulla brace ed il fuoco rinascerà”.

Tanto Auguri a tutti

Leonardo Comple

Foto: ictblog.it

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