Rufus Harley. Jazz e cornamusa, un connubio incredibile

Il jazz è uno stile straordinariamente versatile, dalle svariate possibilità, in grado di integrare elementi e caratteri dai mondi più disparati portando a nuove idee e proposte che lo rendono un mondo musicale sempre in divenire. Tuttavia lo stile fa capo a regole e modelli in grado di codificarne le strutture e quindi riconoscerlo come tale (cioè, il perché di quando ascoltiamo una sonorità e la riconnettiamo a uno stile determinato). In tal senso ci sono tutta una serie di strumenti musicali che anche solo grazie al loro suono ci portano con la mente subito al mondo del jazz, come per esempio il sassofono, il pianoforte honky-tonk, la tromba (come la suonava Dizzy Gillespie), ma sicuramente non la cornamusa scozzese

Dal sassofono alla cornamusa 

La giovinezza di Harley Rufus non è tanto diversa da quella di numerosi altri musicisti jazz suoi coetanei. Nato nel 1936 in North Carolina in una povera famiglia inizia a dodici anni lo studio del Sax e di altri strumenti (flauto, oboe e clarinetto). Il momento svolta lo ebbe nel 1963 a Philadelphia quando, ai funerali del presidente Kennedy, assistette al corteo al seguito del feretro dove suonavano in marcia gruppi di musicisti del reggimento scozzese (in America la musica di cornamusa alla morte dei membri dell’esercito o di alti funzionari è una tradizione). Affascinato dal suono si procurò una cornamusa a un banco dei pegni e iniziò a suonarla da autodidatta. 

Ci sono tre motivi principali per la quale la cornamusa lascia così stupiti se pensata in un contesto jazz. Il primo, il più superficiale, è di natura storico-culturale: lo strumento e il suo suono sono associati a immagini celtiche proprie di paesaggi e tradizioni anglosassoni (nel caso della cornamusa di Harley, una Great Highland Bagpipe). Secondo motivo, tecnico, per la loro conformazione le cornamuse non possono sviluppare dinamiche di volume, in altre parole non possono suonare “più piano” o “più forte”. Ciò potrebbe diventare un problema in contesti cameristici dove cambiamenti sensibili del volume sonoro sono comuni e ben impiegati (basti pensare ai “soli” dove gli strumenti accompagnatori spariscono o diminuiscono il loro volume). Il terzo motivo è armonico melodico: la cornamusa è dotata di bordoni, le canne che il musicista appoggia sulle spalle, e che suonano note singole e continue che accompagnano il chanter (la canna di melodia dove il musicista poggia le dita). Quest’ultimo non ha un’estensione molto elevata rispetto ad altri strumenti (un’ottava e mezza contro le tre di un sassofono, le quattro della chitarra o le sette del pianoforte), inoltre non riesce a eseguire facilmente tutte le dodici note dell’estensione cromatica. Questi motivi dovrebbero essere sufficienti per scoraggiare qualsiasi cornamusa in un contesto jazz, tuttavia Harley Rufus è riuscito a inserirla efficacemente costruendoci una carriera. 

Il successo 

A metà degli anni ‘60 comincia le proprie esibizioni e in breve produce 4 album con la prestigiosa Atlantic Records fra cui Bagpipe Blues (1965) e Scotch & Soul (1966).  Nei brani Rufus si intercambia fra sassofono e cornamusa, ma è soprattutto quest’ultima a capitalizzare l’attenzione (tanto che nelle copertine lui è vestito col tartan e imbraccia proprio questo strumento).  Oltre ai suoi propri album inizia collaborazioni con altri musicisti del jazz americano: Herbie Mann, Sonny Stitt, Sonny Rollins. Nello stesso periodo è invitato a esibirsi in alcune trasmissioni americane ed esegue dei tour. 

Dopo l’uscita del suo quinto album, Re-Creation of the Gods (1972), la sua carriera subisce una battuta d’arresto. Forse data dalla peculiarità della sua musica ora più vicina a sonorità funky che però non l’hanno accolto. Continua a esibirsi regolarmente nei locali di Philadephia e non mancano concerti in Europa e in America e ulteriori collaborazioni (con la band The Roots e la cantante Laurie Anderson), però il suo album successivo, Brotherly Love, vedrà la pubblicazione solo nel 1998. 

Harley Rufus muore nel 2006, ma durante tutto il decennio vengono pubblicati altri album, alcuni remaster postumi, raccolte e live nonché nel 2007 un documentario sulla sua vita, Pipes of Peace

La musica 

Si potrebbe riassumere che le performance di Harley Rufus non sono altro che la combinazione di jazz più la cornamusa come strumento solista. Se è pur vero che in alcuni brani lo strumento altro non fa che sostituirsi ai più comuni sassofono o clarinetto nei soli, in altri invece si connette direttamente alle tradizioni anglosassoni mescolando interventi celebri con un accompagnamento jazz (piano, batteria, contrabbasso). Lo si ascolta molto bene nelle sue interpretazioni di Scotland the Brave e di Amazing Grace (entrambe in Rufus Harley with Georges Arvanitas Trio, 2007). In questo caso è lo stile jazz a piegarsi alla cornamusa, in particolare limitando l’apporto armonico in quanto ricordiamo che lo strumento scozzese possiede dei bordoni che sostengono note lunghi per tutto il tempo. Caso opposto, invece, è Bagpipe Blues (dall’album omonimo del 1965) dove Harvey segue un motivo quanto più affine all’immagine stilistica del jazz. Sebbene non molto apprezzati al momento della loro pubblicazione sono un ottimo esperimento stilistico gli album A Tribute to Courage (1968), King/Queens (1970) e Re-Creation of the Gods (1972) dove la cornamusa si smarca dal più serioso jazz per avvicinarsi a ritmi funk con batterie e bassi scatenati e i suoi caldi del hammond organ. Un approccio più allegro, conferito tanto dallo stile quanto dalle sonorità dello strumento che ben si adatta a questi componimenti e dove le note dei bordoni non sono un appesantimento bensì un contributo a un suono quasi più psichedelico: Nobody Knows the Trouble Us People Had Seen  oppure  Gods and Goddesses per farvi un’idea. 

Cornamuse e stili musicali

Le cornamuse sono uscite dalla loro sfera tradizionale dagli anni ‘50 in poi quando si cominciò a prestare più attenzione alla “musica dal basso”, quella fatta da contadini, montanari e marinari in comunità spesso isolate e lontane dalla modernità (in Italia si vedano gli studi di Diego Carpitella e Roberto Leydi). Lentamente e timidamente alcuni gruppi hanno incluso pive e zampogne nelle loro formazioni, per vicinanza culturale (The Pogues), rivendicare una discendenza (Dropkick Murphys), sonorità (AC/DC). Oggi alcuni generi della popular music non possono quasi esentarsi da includere una cornamusa nelle loro formazioni, come è il caso del folk-metal. 

L’introduzione della cornamusa in un contesto jazz, e poi funk, potrebbe essere facilmente considerata una stramberia (come una kalimba in un brano death metal, o una fisarmonica come accompagnamento a madrigali del XVI secolo) tuttavia Rufus Harvey ha dato prova che funziona e l’ha fatto in una maniera così eccezionale e personale che dopo di lui non sono stati tanti altri a percorrerne la strada

Fonte foto: rufusharley.com

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