Roma Fashion Week: la moda Autunno/Inverno 2023

moda sfilate Roma Fashion Week

In calendario dal 31 gennaio al 2 febbraio, la Roma Fashion Week torna tra gli spazi del Pratibus District, area riqualificata sita nel cuore del quartiere Prati, in viale Angelico 52. Tre giorni ricchi di eventi, sfilate, talk e presentazioni che come sempre puntano sulle nuove generazioni del fashion system con l’obiettivo di promuovere e supportare i progetti più innovativi e convincenti della moda italiana e internazionale. 

Promossa da Altaroma, con il supporto di ICE Agenzia, del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, della Regione Lazio e della Camera di Commercio di Roma, la winter edition della kermesse capitolina vede anche la collaborazione del Comune. Per il Presidente Silvia Venturini Fendi: “la missione di sostegno è un lavoro difficile che non si può svolgere senza il supporto convinto e continuativo delle istituzioni”.

“I processi di trasformazione annunciati a luglio – spiega infatti il Presidente-, si sono rivelati più lunghi del previsto e l’obiettivo prioritario di Altaroma è stato quello di garantire continuità al nostro supporto ai giovani designer, brand indipendenti, piccole imprese e studenti delle accademie che, grazie all’intenso e faticoso lavoro svolto soprattutto negli ultimi anni, trovano a Roma uno spazio dedicato che consente loro di beneficiare, senza sforzi economici insostenibili, di servizi e strumenti indispensabili alla loro formazione e crescita”. 

Oltre al desiderio di promozione, i caratteri dominanti della manifestazione puntano alla costruzione di un nuovo equilibrio tra artigianato e sostenibilità; una ricerca confermata anche dalla selezione dei brand coinvolti nel progetto Showcase, super vetrina di Altaroma, ormai giunta alla sua undicesima edizione, e che stagione dopo stagione fa della Roma Fashion Week un vero propulsore di creatività e talento. 

In ordine cronologico: dalle sfilate singole e dal format collettivo Rome is my Runway, ecco i nomi di alcuni designer con le inedite collezioni  

Mokoo: Descendent of Warriors

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Il brand Mokoo, fondato a Milano nel 2017 dal Sud Coreano Bum-Mokoo, presenta la linea A/I 23 armando i corpi come esseri discesi da chissà quale visione apocalittica. Il fatto che nel nome della collezione ci sia la parola inglese “descendent” è rincuorante poiché fa pensare subito alla sopravvivenza; e a giudicare ogni uscita in passerella, sembra azzardato provare a considerare reali, soltanto i limiti di un’esistenza terrena. 

Il retro pensiero del designer non è per nulla catastrofico. Con un approccio artigianale e futuristico Mokoo immagina un contesto oscuro per raccontare di luce e di riflessi. Gli studi in modellistica e artigianato del metallo, conseguiti a Seoul, prima di fondare il brand, gli concedono una spericolata abilità nel lavorare l’argento puro, insieme alla capacità di articolare tessuti LED e materiali organici in arzigogoli spaiati come venature pulsanti intorno al corpo. Per la luminosità, infatti, non manca l‘appunto pratico e funzionale: “Questo, in particolare, serve a farci notare i capi chiusi negli armadi” riferisce il designer in una nota. A parte le soluzioni di luce, e qualche pezzo bianco cemento, i colori sono cupi e tenebrosi e vibrano attraverso silhouette dalla forma a S; un motivo a onda, un po’ ruche, un po’ armatura, che incasella queste creature in un ambiente tra il survival e il gotico, e dove l’idea che qualcosa o qualcuno sia sopravvissuto all’istituirsi di un nuovo ordine, si fa sempre più sostanziosa.

Maragno: Stone

Live the journey, breathe the dream” sussurra una voce femminile su note electro minimal, mentre dalla collettiva di Roma Fashion Week, il brand eponimo Maragno presenta Stone, la linea A/I 23. “Questa collezione è ispirata a tutte quelle persone che vivono a cuore alto qualsiasi difficolta nella vita – rivela il designer dal backstage – è come la spinta per darsi forza, una sorta di protezione morbida, accogliente proprio come un abbraccio”. Lana, seta e cachemire seguono un processo di upcycling, e recuperati in quantità limitate da tessuti di scarto, diventano protagonisti della narrazione trasformandosi in capi oversize dalle nuance neutre e terrose. Il punto di partenza è l’homewear, mentre l’approccio è agender: “non ci sono costrizioni, non ci sono etichette di genere, non ci sono zip, non ci sono bottoni, tutto è molto morbido e comodo” puntualizza Marango che sceglie gli anni 80 nelle linee, soprattutto per quella libertà di espressione che gli è tanto cara.  

Fondato a malapena due anni fa, il brand italiano ha un’estetica forte, definita da citazioni che diventano concrete in passerella, e che si professa libera da tutto ciò che costringe o incasella. Avvolti e coccolati in capi sartoriali che, per esigenza di materiali deadstock, si rivelano unici e irriproducibili, i modelli hanno i volti bendati da collarini di seta e cachemire. Sono liberi solo gli occhi: unico vettore in grado di definirci dal profondo della nostra essenza.

Saman Loira: Imbolc

Dark Angel e Unseelie dei Clann diventano il sottofondo di una forza ancestrale che guida i modelli in una processione che si fa sacra e pagana allo stesso tempo. Per Saman Loira, brand partenopeo fondato nel 2020, il punto di arrivo di questo magico incedere resta sempre la luce: un viaggio immerso nella spiritualità della natura, che alla fine ripaga con un senso di consapevolezza e rinascita. Non a caso si chiama Imbolc (che significa “in grembo”), la linea A/I 23 presentata dagli spazi del Pratibus District. “Ho voluto celebrare questa ricorrenza perché è un legame con il marchio: la data di Imbolc, conosciuta nel mondo cristiano come il giorno della candelora, corrisponde sia al mio compleanno, sia al nostro logo scritto in numeri romani”. Con il desiderio di continuare a raccontarsi attraverso un prodotto di pregio atemporale e autentico, Francesco Corcione, mente creativa del progetto, si esprime celebrando il suo amore per le tradizioni antiche, i rituali, l’artigianato, insieme alla profonda fascinazione per il mondo della natura. “O mi esprimo così o faccio altro – asserisce poi -, perché se non facessi questo, credo che venderei fiori”.

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Forgiato da un racconto personale, il pret à couture si arricchisce dunque di folclore e passa dal nero alla terra, sfiorando i toni asettici di un deserto arido; ma è tutta una sincronia studiata per dare rigoglio all’arrivo della primavera; un’attesa ricamata sui cotoni certificati GOTS di felpe oversize con incrostazioni di ematite e fossili, elementi legati alla ricorrenza di Imbolc, ricchi di effetti benefici e memoria. L’atmosfera è vibrante e criptica, la bellezza narrata di Samal Loira si pavoneggia tra inserzioni di plissettature romantiche ed elaborazioni infestanti, capaci di trasformare il tulle in fasci di ragnatele, che avviluppano il corpo e lo accompagnano nel magico e lento risveglio della natura.

Setchu: 2D to 3D

Un certo pathos aleggia durante la presentazione di Satoshi Kuwata. La sensazione è quella di un’attesa: una tensione propositiva che guida verso il compimento materiale di quel compromesso, racchiuso già nel nome del brand. In origine, infatti, le parole sono Wayo Setchu, e derivano dall’architettura nipponica per sottolineare l’unione tra lo stile giapponese e quello occidentale. Per il progetto personale – fondato nel 2020, in piena pandemia a Milano -, il designer concentra tutto nella parola Setchu (che significa “compromesso”) e calca sull’essenza dell’unione, con l’intento di creare qualcosa di originale, insolito.

Vincitore della 18°edizione di Who is on Next?, Satoshi Kuwata presenta 2D to 3D, un pret à porter classico e contemporaneo. È questa la tela bianca su cui il creativo realizza un melting pot partendo da scomposizioni e sovrapposizioni. Le camicie hanno colli appuntiti che si staccano in alcuni punti e riprendono le pieghe tridimensionali degli origami. La maglieria segue un gioco di abbottonature che divide e unisce le parti, dietro un senso di incompiuto ironico ma sempre funzionale. L’idea di completo sartoriale ripercorre il design tipico del kimono, che si prende meno sul serio, e diventa più versatile e graffiante, complice un broccato animalier e la fusciacca con fibbione a cerchio. Anche sotto maxi cropped pants o abiti chemisier morbidi e asimmetrici, fanno capolino pantaloni fascianti con spacchi pronti ad avvolgere le caviglie. Primeggia un’impronta dinamica e le due anime del brand raggiungono il giusto “setchu”, respirando quell’aria vagabonda che il designer porta come bagaglio da tutti viaggi in giro per il mondo.

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Lucia Chain: Lo unico perpetuo es nuestro amor por lo efìmero

“No gender, no-age, adjustable sizes” puntualizza una nota a piè di pagina, e la presentazione di Lucia Chain conferma quel desiderio di non catalogare, non etichettare, non costringere. La scelta di una via sostenibile è imperante per la designer argentina, che a distanza di pochi anni dalla creazione del marchio, rientra subito nella rosa dei Next Green Talents – nomina ricevuta nel 2018 da Vogue Italia e Vogue Talents.

Tra gli spazi del Pratibus District, lascia che a parlare sia una moda spartana, mentre schiamazzi di uccelli liberi in una natura selvaggia, sono gli unici disturbatori del lento fluire delle proposte. “I capi sono realizzati con tessuti naturali, salvati dalla loro distruzione” si legge dalla solita nota. Un lavorio frutto della collaborazione con l’azienda milanese ReadyMade Textiles. Lo stile è essenziale, e il design è over e minimale. Abiti a canotta, completi con camicioni e gonne a matita hanno cromatismi a blocchi, alcuni dalle nuance impalpabili, altri più torbidi, quasi emulando le diverse gradazioni del denim. Si chiama Lo unico perpetuo es nuestro amor por lo efìmero, la linea A/I 23 dell’eponimo brand, e ha tutta l’aria di un rimprovero. Sembra, infatti, esser racchiusa qui dentro l’essenza della sua estetica. Un luogo in cui il libero fluire di eventi, bestie, flora e della vita in generale non trova forzature, e dove cercando di comprenderne l’insieme, l’umanità impara a farne parte trovando il suo senso più pieno. 

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