Quando è il fine a giustificare i mezzi. La Banca d’Inghilterra subordina la propria politica monetaria al rilancio dell’occupazione. L’Italia non stia a guardare

bankofengland939023Nel giustificare le proprie recenti politiche monetarie, i banchieri centrali hanno sempre parlato di strumentalità delle stesse al rilancio delle economie sempre più depresse ovvero al consolidamento dei sistemi economici e finanziari il cui rischio di collasso è apparso in alcuni momenti qualcosa in più di una semplice possibilità.

Auspicabilmente superata la fase più critica di queste ripetute e susseguenti crisi intervenute dal 2007 ad oggi, la barra del timone delle banche centrali e dei governi cerca di dirigere la barca del risanamento verso obiettivi realmente strategici. Così anche la Banca D’Inghilterra, per bocca del suo Governatore Mark Carney, così come aveva già fatto in passato la FED, ha dichiarato che la politica monetaria inglese rimarrà espansiva sino a quando la disoccupazione, attualmente al 7,8%, non scenderà al 7% cosa che, perdurando l’attuale scenario macro economico, dovrebbe accadere nel corso del 2016.

Proseguirà quindi la politica dei bassi tassi d’interesse e il “quantitative easing”.

Meno aggressiva della strategia dichiarata dalla FED con i suoi automatismi tra ripresa dell’occupazione e termine dell’acquisto di titoli e rialzo dei tassi e più attenta ai fenomeni inflattivi, la strada intrapresa anche dalla BoE, conferma che l’occupazione, con la conseguente ripresa della domanda interna, è il vero indicatore cui tendere per uscire dalla crisi. La BCE dal canto suo, dal “whatever it takes” in poi, ha mantenuto una linea meno definita sostenendo comunque di voler superare la contingente debolezza economica e un credito che, per lungo tempo immobile, stenta a ripartire, attraverso il perdurare dei bassi tassi.

Al di là quindi dell’esplicito segnale lanciato ai mercati dichiarando quale sarà l’impegno e in cosa si tradurrà, in quest’auspicabile direzione dovrebbero quindi finalmente indirizzarsi gli sforzi e le politiche dei governi locali.  Non soltanto di quelli Americano o Inglese.

L’occupazione non più come bandiera sindacale, ma come momento attraverso il quale finalizzare sforzi economici e punto di svolta per invertire un ciclo economico recessivo. In quest’ottica dovremmo perciò misurare l’azione di governo e le risorse, soprattutto economiche, che alla creazione di stabili opportunità di lavoro saranno dedicate.

Un’azienda che stenta a sopravvivere e continua a indebitarsi per far fronte almeno alla spesa corrente, non investe, non innova, non assume; bene quindi lavorare nel senso di creare nuove condizioni per fare impresa, liberando risorse incagliate da ritardi burocratici o vincoli di spesa pubblica, bene ridurre o comunque ridisegnare il cuneo fiscale, bene promuovere, perfino ove necessario forzare, il dialogo e la concertazione tra tutte le parti sociali. Nessuna esclusa.

Il convertendo decreto Giovannini mira attraverso le misure in esso contenute, sgravi contributivi per datori di lavoro che assumono a tempo indeterminato giovani tra i 18 e i 29 anni, sblocco di altri 20/25 miliardi di debiti della Pubblica Amministrazione, ma anche il rinvio del temuto aumento dell’IVA al 22%, a recuperare almeno centomila posti di lavoro; dovrebbe essere questo solo l’inizio seguito a settembre dai provvedimenti per ridurre il cuneo fiscale e rifinanziare la cassa integrazione in deroga.

Un’altra boccata d’ossigeno all’occupazione dovrebbe arrivare dal potenziamento del fondo per le Pmi, dall’introduzione della mini-Sabatini per chi investe in impianti e macchine, le semplificazioni burocratiche, gli sconti sui costi energetici, gli interventi in tema di edilizia.

Poiché sulla sfida del lavoro si gioca buona parte del futuro del nostro paese, è certamente auspicabile che su di esso, sulla definizione dei concetti di “flessibilità tollerabile”, sull’abbattimento delle quote dei “precari” di lunghissimo corso, sull’attenzione all’occupazione per i giovani e per chi giovane più non è, ma non per questo ha meno diritto e necessità di un lavoro stabile, si mantenga ferma e coerente l’attenzione del governo Letta. Su questa sfida si gioca la propria credibilità e il rispetto degli Italiani che non hanno più le forze per essere tirati ancora in ballo in estenuanti campagne elettorali a colpi di inutili e antistorici proclami e liti di cortile.

di Marco Bartolomei 

 foto: iocomprocasa.com

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