“Proviamo a capirci”. L’uomo, la donna ed il cinema

A quanto si dice, uno dei più arditi ed illusori desideri femminili è quello di essere realmente comprese da un uomo. Il cinema ha fornito fantasiose soluzioni, sul punto; non tutte praticabili.

In Quello che vogliono le donne (2000), un affascinante Mel Gibson, incallito sciupafemmine, sviluppa la dote di leggere nella mente delle donne a seguito di un’accidentale elettrofolgorazione. Inizialmente ne rimane atterrito, poi cerca biecamente di sfruttare la cosa a proprio vantaggio, infine realizza che, forse, quel che legge non è solo la mente, ma l’anima delle donne, visto che nel femminino si agitano continue osmosi tra l’una e l’altra; ed inizia a capirle davvero. Il tema trattato è seducente. Il film decisamente meno, ma poco importa.

Il fatto è che uomini e donne in grado di capirsi, di leggersi dentro, di compenetrarsi, nella maggior parte dei casi non sono altro che l’espressione di una scintillante utopia. Quella lettura di intenti che molti auspicano è lo Shangri-La, l’El Dorado; è Atlantide; è cosmogonia, puro mito creativo.

I disturbi di sintonia sui canali di comunicazione, infatti, sono un dato atavico. Ne La verità è che non gli piaci abbastanza (2009) di Ken Kwapis i protagonisti si muovono in nove fallimentari storie di incomprensione ed altrettanti esilaranti tentativi di decodificazione dei reciproci segnali.

Decriptare le intenzioni dell’altro sesso. Cielo! Non basterebbero Enigma e la cifratrice Lorenz messe insieme. La Stele di Rosetta, in confronto allo scambio di informazioni tra uomo e donna, è senza dubbio più esplicativa.

A chi non è capitato almeno una volta di abbinare un sentimento, una “spiegazione” ad una vago gesto altrui, ad una parola pronunciata distrattamente, all’intonazione di una voce, ad un messaggio scritto? Lo abbiamo fatto e lo faremo, continuando a non capire, peraltro, che, se cerchiamo riferimenti occulti nelle parole altrui, è perché l’altra persona non comunica con chiarezza e la mancanza di chiarezza, nella migliore delle ipotesi, annoia. Siamo stati tutti, almeno una volta, Sherlock Holmes armato di lente di ingrandimento puntata su parole, segni di interpunzione, riferimenti mediati. Nemmeno le ordalie aiuterebbero a venirne a capo, perché sono giudizi divini che implicano verità assoluta: l’innocente cammina sul fuoco senza bruciarsi, il colpevole no. Qui l’alternativa è tra modi diversi di intendere la stessa realtà. Dipende da cosa scoviamo dietro le parole; dipende da come vediamo il mondo, o forse, come afferma Humpty Dumpty nella versione letteraria di Alice nel paese delle meraviglie, personaggio purtroppo ignorato dal film disneyano del 1951, dipende da chi comanda, perché solo chi comanda può dare un senso diverso alle parole.

La domanda sul piatto, allora, sembrerebbe: chi comanda tra uomo e donna, visto che  – mi pare evidente –  attribuiscono spesso significati differenti alle stesse parole?

Jack Nicholson

Il supremo Jack Nicholson di Qualcosa è cambiato (1997) afferma di descrivere bene le donne perché pensa ad un uomo e gli toglie razionalità ed affidabilità; Helen Hunt, a sua volta, non è lieve nelle critiche nei suoi confronti. Eppure si innamorano.

La verità è che uomini e donne sono pianeti destinati a ruotarsi attorno in un gioco di costante attrazione e repulsione, ma senza mai sfiorarsi veramente. Sono diversi e hanno un differente modo di vedere la vita e di viverla, anche fisicamente. “Hai visto quella come si muove? Sembra fatta di gelatina. Se io mi dimenassi così mi perderei i pezzi. E’ inutile: è un sesso del tutto diverso” esclama Jack Lemmon in tacchi a spillo e gonna a pieghe, mentre osserva il corpo di Marilyn Monroe molleggiare sinuosamente in A qualcuno piace caldo (1959). Poco dopo, al suono della Cumparsita, annuncerà a Tony Curtis, di essersi fidanzato con un miliardario, lo stesso che, alla fine, quando gli rivelerà d’essere un uomo, replicherà candidamente: “Nessuno è perfetto”. Come dargli torto, del resto?

Robin Williams nelle vesti di Mrs Doubtfire

Qual è il messaggio di film in cui gli uomini vestono panni femminili? Dustin Hoffman, in Tootsie (1982), dopo aver recitato per tutto il film nei panni di una donna ed aver provato sulla propria pelle ogni tipo di giudizio e pregiudizio, dice a Jessica Lange di essere stato un uomo migliore con lei, come donna, di quanto non sia stato, come uomo, con tutte le altre. Anche Robin Williams, in Mrs Doubtfire (1993), riesce in un’impresa analoga, indossando gli abiti di un’attempata governante, la cui saggezza, ahimè, sembra crescere in misura direttamente proporzionale alla malinconia del pubblico per l’affievolirsi dei caratteri più frizzanti della sua personalità maschile. Adam Sandler, in Jack e Jill (2011), si traveste da donna, impersonando sua sorella. È costretto a farlo perché lei è improvvisamente partita, proprio quando un noto attore, che lui vorrebbe ingaggiare per la propria agenzia di pubblicità, ha subordinato la firma del contratto ad una serata con lei. Nel corso di quell’incontro, Adam Sandler, capisce finalmente le fragilità di sua sorella, le ragioni dell’essere donna e pone le basi per ricostruire il rapporto con lei.

Il messaggio è chiaro: l’uomo che sa entrare in contatto con la propria parte femminile, di cui la maschera cinematografica è l’iperbole, può godere di una maggiore sintonia con la donna.

Certo, questo funziona finché uomo e donna non decidano di abitare lo stesso individuo mantenendo tutte le proprie caratteristiche inalterate. Si potrebbe pensare di aver raggiunto la perfezione, in questo caso, l’ermafroditismo sentimentale ed intellettuale, la risposta al sesso degli Angeli, ma il cinema, la vita, e mio cugino psichiatra, ci insegnano che, in questi casi, non va mai a finire bene e, spesso, ci scappa il morto. In Psycho (1960) od in Peacock (2009) lo sdoppiamento di personalità apre scenari a dir poco inquietanti. La sovrapposizione del maschile e del femminile, poi, travolge e spaventa anche in The Rocky Horror Picture Show (1975), pellicola dotata di originalità, follia creativa, e, soprattutto, della simpatia senza pari dell’immenso Tim Curry.

In buona sostanza, l’argomento dell’incomunicabilità tra universo femminile ed universo maschile presenta così tanti aspetti umani da indagare, che sembra assurdo andare a scomodare il fato, i fulmini divini, la lettura del pensiero, o persino Belzebù.

È successo anche questo, infatti. Blake Edwards, con la brillante commedia Nei panni di una bionda (1991), ha chiamato in causa il Diavolo in persona, con tanto di olezzo di zolfo. Nel suo film, Ellen Barkin è l’incantevole involucro dell’anima di un egocentrico omuncolo sottaniere che, dopo essere stato ucciso, torna sulla terra al fine di trovare almeno una donna che lo ami, evitandogli, così, di finire all’inferno.

Paradiso, inferno, reincarnazione, insomma è stato usato di tutto pur di riproporre il solito vecchio schema della perfezione raggiunta attraverso l’integrazione degli opposti. In Flawless. Senza difetti (1999) il mio amato Philip Seymour Hoffman, che interpreta una drag queen, dice al suo vicino: “Sono più uomo di quello che tu sarai mai e più donna di quelle che hai mai avuto”. Questa frase mi fa viaggiare verso l’Abraxas di Hermann Hesse, “Angelo e Satana, uomo e donna insieme, umanità e bestialità, supremo Bene e Male estremo”. È dalla fusione degli opposti che si nasce, se ci pensiamo. Lo spermatozoo penetra nell’uovo. L’incontro si fa vita.

Forse, però, la faccenda è più semplice e decisamente molto, molto più intrigante. La diversità tra uomo e donna, la loro naturale, reciproca incomprensione hanno anche risvolti romantici, infatti.

Tutti si dicono certi  che non vi sia donna al mondo indifferente al sogno di incontrare un uomo galante, in grado di capire le sfumature del cuore; ma quello che pochi osano pensare è cosa accade se e quando il sogno si avveri. Forse, se l’evoluzione psicologica degli esseri umani non ha ancora prodotto l’affrancamento dalle incomprensioni tra uomo e donna, è perché un sogno è bello finché resta tale ed ogni tentativo di realizzarlo non lascerebbe più spazio alcuno per la fantasia, vera ed unica linfa vitale per chiunque.

Julia Roberts e Woody Allen

In Tutti dicono I Love You (1996), la figlia di Woody Allen è un’adolescente ribelle della New York bene che ascolta segretamente le sedute di una psicanalista, della quale Julia Roberts è paziente. Woody, che s’innamora fatalmente della bella Julia, conosciuta casualmente a Venezia, sfrutta, per conquistarla, ogni particolare che la figlia gli rivela su quel che le piace, dalle escargots gustate in piena notte con un bicchiere di ottimo vino alle opere del Tintoretto, dalla mansarda a Montmartre alle gerbere regalate evocando la quarta sinfonia di Mahler. La conseguenza è inevitabile: lei lascia il bellimbusto narcisista e distratto con cui è sposata e si abbandona tra le braccia dell’uomo comprensivo e sensibile. Eppure qualcosa nella perfezione sembra non funzionare: “… è che ho sempre avuto questa fantasia, che un giorno avrei incontrato l’uomo perfetto, che avrebbe realizzato i miei sogni e che avrei avuto una vita perfetta. Ma questa fantasia faceva parte dell’insoddisfazione che provavo verso Greg e verso la mia vita. Poi sei arrivato tu e sembrava che conoscessi ogni segreto di me. Mettiamola in questo modo: io ho visto tutti i miei sogni avverarsi e le mie fantasie non mi torturano più; riesco a gestirle!”. Ecco perché decide di lasciarlo.

In conclusione, mi chiedo, noi donne vogliamo davvero avere qualcuno che sappia interpretare tutti i nostri pensieri? Vogliamo un uomo che sappia entrare nella nostra testa al punto da toglierci il gusto di non svelare, se non in parte, le nostre fantasie?

Non so.

Forse il sale di una storia d’amore sta nell’idea della perfezione e non nella perfezione stessa: “Noi donne non diciamo quello che vogliamo, ma ci riserviamo il diritto di romperci le palle se non lo otteniamo” esclama Jeanne Tripplehorn in Sliding Doors (1997). Niente di più vero. A me capita spessissimo, lo confesso. In qualche modo se ne parla anche nel Cyrano di Rostand, che, nel 1990, ha visto luce al cinema con un fantastico, affascinante Gerard Depardieu. Il dialogo sotto il balcone è emblematico e dovrebbero guardarlo attentamente tutti gli uomini che si lamentano di non capire le donne. Intanto cominciamo col dire che Rossana è sul balcone, all’aria pulita della notte, sotto le stelle, immersa nello stormire delle foglie di un albero accarezzato dal vento. Cyrano, invece, è per strada, nella polvere, a nascondere il proprio aspetto fisico dietro l’immagine di Cristiano ed a lottare strenuamente contro le proprie insicurezze. E questo già vi dovrebbe dire qualcosa, cari uomini: potete anche essere famosi, intelligenti, forti, coraggiosi, poeti, ma le donne sono sul balcone e voi per strada. La storia, poi, vuole che, durante il loro romantico dialogo, proprio poco dopo che s’è fatto cenno ad un bacio, passi un monaco su quella via. Il dialogo si interrompe. Rossana rientra in casa. Con l’allontanarsi dell’intempestivo viandante, si affaccia di nuovo e vuole riprendere il discorso da dove si è interrotto. Quel bacio le interessa non poco. Vuole concederlo e, di sicuro, non ha alcun timore a parlarne, tuttavia non vuole essere lei a riprendere il discorso. Lei vuole baciarlo, ma deve essere lui ad implorarla, a spasimare per quella sua attenzione. Così dice con voce suadente “Parlavam di …. D’un …” e Cyrano, da vero uomo, ci casca con tutte le scarpe: “Bacio. Né vedo, in verità, perché la vostra bocca sia così timorosa” (illuso) “Se la parola è dolce che sarà mai la cosa? Irragionevol tema non vi turbi la mente” (Ma quale timore?) “Non poco fa lasciaste, quasi insensibilmente, l’arguto cinguettio per passar senza schianto dal sorriso al sospiro e dal sospiro al pianto? Ancora un poco, un poco solo ancora, vedrete: non c’è dal pianto al bacio che un brivido” e Rossana, ipocrita, “Tacete!”. Nella mia Roma verrebbe spontaneo dire: “Tacete de che? Je l’hai chiesto tu”. Ma no. Cyrano, come la maggior parte degli uomini avrebbe fatto, prosegue il suo serrato crescendo di immagini sensuali e romantiche finché il bacio non viene colto, purtroppo per lui da Cristiano. Orbene, cosa insegna questa scena? Che le donne sono essenzialmente incoerenti e manipolatrici (e gli uomini, forse, fin troppo ingenui). Tutto questo, però, ha un nome. Si chiama gioco di seduzione.

Io non credo che le donne siano così pazze da rinunciare alle schermaglie amorose, al dire-senza-dire-quel-che-c’è-da-dire per avere in cambio un uomo che le capisca così a fondo da non cadere nei loro deliziosi tranelli. No davvero.

Quindi coraggio, donne incomprese e donne incomprensibili, mettiamocela tutta: cerchiamo, sì, di concretizzare in ogni modo il sogno di un uomo che ci capisca, che sappia lusingare le nostre fantasie con un’intesa perfetta, proseguiamo caparbie nella disperata ricerca di una sua capacità relazionale matura e sensibile che, ahimè, non gli appartiene, ma, vi prego, vi scongiuro, continuiamo a non riuscirci.

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