Plauto
Il pensiero del doppio, della copia, del sosia (o dovremmo scrivere “di Sosia”) o più semplicemente del gemello, stimola da più di duemila anni l’acume dei commediografi per gli aspetti intrinsecamente ambigui di comicità e tragedia che ne derivano, ma soprattutto per l’interrogativo che ci si rivolge sempre: chi sono io? Sebbene le radici siano elleniche, è con Plauto, commediografo romano vissuto tra il 255 ed il 184 A.C., che la componente comica del doppio trova la sua prima espressione, satura di connotati ripresi più avanti nel tempo da Shakespeare o Goldoni, fino alle moderne rappresentazioni; gli equivoci si susseguono germinati da continui scambi di persona e crisi d’identità che, quasi con semplicità, ci abbandonano in un labirinto da dove, solo con l’ausilio di Giove (“deus ex machina” ) è possibile uscire, come nell’Anfitrione. Amphitruo, Menaechmi e Bacchides catalogate come “Le commedie dei Simillini” (o dei Sosia) sono tra le prime opere proposte agli allievi delle scuole di teatro, amatoriali o istituzionali che siano, al fine di avvicinare l’aspirante attore all’atmosfera briosa del gioco delle parti. Sono molti i commediografi che si sono ispirati all’acume di Plauto anche per altri soggetti e caratteri, primo fra tutti Molière che riprende magistralmente ne L’Avaro quella parsimoniosa meschina spilorceria a dimostrazione che un classico ha sempre il vigore e l’efficacia di sedurre.
Segnaliamo “Truculentus” di Plauto in scena il 9 Luglio 2010 presso il Teatro Romano degli Scavi Archeologici di Ostia Antica – Via dei Romagnoli, 717 (00119 – Roma).
“Dov’è che mi sono trasformato? Dov’è che l’ho perduta la mia persona? Il mio me, può essere che io l’abbia lasciato laggiù? Che io mi sia dimenticato? Di sicuro, proprio di sicuro, c’è che questo qui ha tutto l’aspetto che una volta era mio. Da vivo mi tocca quello che da morto non avrò: l’onore di un ritratto.” (Sosia in Anfitrione di Plauto).
Giuseppe Chianese
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