“Alla ricerca di Nemo” nel 2003 conquistò il pubblico di grandi e piccini, vincendo l’anno successivo l’oscar come migliore film d’animazione e ottenendo un incasso di più di 900 milioni di dollari. Il celebre film d’animazione Pixar racconta l’epico viaggio di un pesce pagliaccio dalla Grande barriera corallina australiana fino a Sydney per salvare il figlio finito nell’acquario di un dentista.
La realtà è un po’ diversa. Lo ha scoperto l’ecologo marino Steve Simpson, dell’Università di Exeter nel Regno Unito, analizzando il genoma di esemplari appartenenti a due gruppi di pesci pagliaccio che vivono nel Sud e nel Nord dell’Oman, separati da 400 chilometri di mare. È risultato che il 5 per cento dei pesci del gruppo del Sud proviene dal Nord, e circa l’1 per cento di quelli del Nord arriva dal Sud, mentre la presenza di numerosi ibridi mostra che il rimescolarsi tra i due gruppi è molto consueto. Tra i pesci trovati “fuori posto” c’erano molti giovanissimi. Lo studioso ne ha dedotto che a viaggiare non sono gli adulti, ma le larve, che vengono trasportate dalle correnti. “La nostra ricerca,” spiega Simpson “è la prima a misurare direttamente la dispersione larvale dei pesci pagliaccio su distanze di centinaia di chilometri”.
È un viaggio epico per pesciolini di appena una settimana, per i quali la vita è durissima fin dalla nascita. Per trasformarsi in adulto un pesce pagliaccio deve trovare un anemone che lo ospiti: fino a quel momento resta nella cosiddetta fase pelagica larvale. Ma mentre in altre specie, come le aragoste, la fase pelagica larvale può durare anche un anno, nei pesci pagliaccio si limita a due o tre settimane, limitando il tempo a disposizione per viaggiare e trovare una nuova “casa”. Viene rivisitata quindi l’immagine del piccolo e fragile Nemo bisognoso di aiuto e si scopre, invece, un oceano di tanti piccoli Nemo in viaggio per centinaia di chilometri alla ricerca di una nuova dimora.
di Arianna Orlando
Scrivi