Maroni ironizza, Saviano mantiene la solita immagine da vittima e non sa stare al gioco

Saviano definisce”inquietanti” le parole di sfida dell’esponente leghista dopo la scorsa puntata di Vieni via con me; ma la replica di Roberto Maroni non si fa attendere: “Se dovessero invitarmi andrò vestito da Sandokan.”, perché come  noto, il Ministro dell’Interno sta attendendo la decisione del Cda Rai, per ottenere la possibilità di un contraddittorio  in trasmissione. Peccato però che lo scrittore pur giovane, non sa stare al gioco, e oltre le accuse infamanti lanciate lunedì durante il programma condotto con Fazio, risponde dicendo con la solita aria da vittima che  Sandokan è il soprannome del boss dei Casalesi Francesco Schiavone. Insomma Saviano continua a celebrare se stesso come sempre, parlando come sempre di mafia, anche quando il contesto richiederebbe di rispondere con la stessa ironia; magari vertendo su altri temi. Senza dubbio la trasmissione ha riscosso un gran successo; ma quel monologo poco rispecchia il programma dedicato alla cultura e all’attualità a 360°. L’attualità  vera su cui Saviano sembra voler glissare è invece in tutti i recenti e molteplici arresti di mafiosi  e di beni confiscati alla mafia. Perché ormai è piuttosto palese che Saviano non si voglia  sdoganare dal personaggio che lo ha reso popolare. Ogni scrittore cerca l’evoluzione di sé, si sperimenta su altre tematiche, lo stesso Camilleri  a volte sembra spiaciuto di essere identificato costantemente con Montalbano, invece lui si mostra vittima di ciò che in fin dei conti ha voluto e al tempo stesso si crogiola nei contenuti che lo hanno reso famoso, quasi avesse il timore di perdere notorietà trattando altri argomenti. Chiunque si accinga a scrivere un libro sulla mafia sa che richiamerà l’attenzione su di se; sa che metterà in qualche modo a repentaglio la sua vita; ma si tratta di un’iniziativa consapevole, proprio come avviene per gli stessi magistrati che svolgono il medesimo lavoro; ma in modo meno interessante e senza stare sotto i riflettori degli studi televisivi; o come tutta quella miriade di persone tra la gente comune che è sotto minaccia dalla mattina alla sera, e che di certo la scorta non l’ha mai avuta. E’ stata una “scelta” quella di Saviano, e una persona come lui, reputata intelligente in tutto il mondo non può non sapere a cosa andava incontro scrivendo un libro come Gomorra. Lui, consapevole al pari della Sgrena che parte per una terra dove è stato assolutamente  sconsigliato di andare; ma quella è un’altra storia; sebbene al suo posto ci abbia rimesso la vita un’altra persona, che moglie e figli attendevano a casa. Le persone che recluse lo sono perché sottomesse alla mafia non hanno la possibilità di Saviano di stare nei teatri, di raccontare tutta la loro disperazione per la vita da succubi che conducono;  spesso sono dilapidate dei loro averi dalla mafia stessa; alcuni di loro perdono la vita per opporsi alla criminalità, altri ancora si suicidano per non essere più perseguitati. E se in tutto il calderone savianese che si replica all’infinito c’è davvero una vittima da designare, in molti sappiamo che è più di una, sono quegli uomini che a Saviano fanno da scorta, sono loro le vittime che prestano la loro vita a chi un giorno ha “scelto” di mettere a repentaglio la propria, trascinandosi dietro altre esistenze che “non hanno scelto”, famiglie comprese, e che svolgono comunque ogni giorno il loro lavoro con scrupolo e grandissima dedizione.

Simona Santanocita

Foto: www.ilpuntoamezzogiorno.it

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