L’utilizzo della musica in politica e i diritti Siae

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Non tutti sanno che la SIAE rilascia specifiche licenze per l’utilizzazione della musica (depositata nel proprio repertorio) in eventi o manifestazioni organizzati da partiti politici. Il compenso per il diritto d’autore varia per una serie di fattori: per i comizi, ad esempio, è sufficiente pagare € 58,70; mentre per la propaganda politica attraverso i diffusori con automezzi ne servono € 134,40.

Ad ogni tornata elettorale il problema si ripresenta puntualmente: da un lato, i politici in cerca di “slogan” forti e riconoscibili a poco prezzo; dall’altro, gli artisti della musica che – il più delle volte – non vorrebbero che i propri brani e la loro immagine artistica vengano associati al messaggio di propaganda politica. 

Ma oggi – purtroppo – prevale la logica “economica”: una volta che un brano viene reso pubblico ed editato il suo utilizzo diventa sempre legittimo, a condizione che si paghino i relativi compensi per lo sfruttamento economico.

Per una sorta di par condicio di carattere politico, si prende in esame la questione partendo da tre distinti casi che hanno animato il dibattito.

Alla fine del 2018 la signora Anna Gaetano, sorella ed unica erede del compianto artista Rino Gaetano, ha espresso il proprio forte dissenso per l’utilizzo del brano “Ma il cielo è sempre più blu” da parte della Lega e del suo leader (all’epoca Ministro) Matteo Salvini, in occasione di una manifestazione a Roma: «Siamo stufi: le canzoni di Rino Gaetano non vengano più utilizzate dalla politica». E ancora: «Non voglio che la musica di Rino sia mischiata alla politica. Non mi piace che venga utilizzato così, mi dissocio. Sono la sorella, posso dire la mia?» (da Corriere della Sera, di Redazione Politica, 11 dicembre 2018).

Nel maggio 2019 Gianni Togni e Guido Morra, autori del famoso brano “Luna” hanno espresso forti doglianze per il video con il quale il Sen. Gaetano Quagliariello – del partito IdeA (Identità e Azione) sosteneva il candidato Sindaco di Bari: nel video veniva utilizzata la loro canzone addirittura travisata nel testo (tutto si è risolto con il ritiro del video e le scuse del senatore).

Sempre nel 2019, nel mese di agosto, Vasco Rossi si è molto risentito con Gianluigi Paragone (all’epoca appartenente al M5S) per un suo post – funzionale al voto referendario sulla piattaforma Rousseau – nel quale aveva utilizzato la canzone “C’è chi dice no!”.

Anche dopo la cessione dei diritti di utilizzazione economica sull’opera (edizione), l’autore conserva sempre (oltre alla facoltà di rivendicare la paternità dell’opera) il diritto di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione. A stabilirlo è l’art. 20 della Legge sul diritto d’Autore (L. n. 633/1941). Rientra nei “diritti morali” d’autore, che rappresentano veri e propri diritti della personalità: nascono in capo all’autore al momento della creazione dell’opera e non possono essere trasferiti, nemmeno dopo la sua morte. Infatti, i diritti morali di paternità ed integrità dell’opera sopravvivono alla morte dell’autore (senza alcun limite di tempo); e, trattandosi di diritti della personalità, vengono acquisiti dagli eredi, che hanno la facoltà di farli valere a difesa dell’immagine e della personalità dell’autore defunto.

Non ci sono precedenti specifici in giurisprudenza, anche perché il più delle volte non vale la pena intentare un giudizio per la violazione di un diritto morale di cui, peraltro, lo stesso danneggiato ha l’onere di dimostrarne la fondatezza per episodi fugaci.

C’è un precedente che, per quanto non riguardi l’uso della musica, può considerarsi emblematico per il difficile rapporto tra la propaganda politica e l’espressione artistica (diritti della personalità dell’artista): nel gennaio del 2009 il PDL tappezzò la città di Bari di cartelloni raffiguranti il grande Totò che, in un fotomontaggio, guardava esplodere i palazzi di Punta Perotti (lo Stato era stato da poco condannato dalla Corte europea a risarcire con 49 milioni di euro i costruttori del c.d. ecomostro in tale località). Lo slogan scelto per i manifesti fu: ‘E io pago!’, e, in basso a destra, il simbolo del partito.

La figlia di Totò ha ottenuto dal Tribunale di Bari la condanna del PDL a risarcire € 175.000,00; i giudici hanno infatti ritenuto integrata la lesione dell’identità personale del defunto sotto i profili intellettuale e artistico, e anche politico). La famosa espressione era stata in fatti doppiamente travisata perché era stata accostata a un’immagine addolorata dell’attore (quando in realtà era stata pronunciata in modo indignato e furente nell’ambito di una commedia), e per di più era utilizzata con una forte connotazione politica (mentre in detta commedia non vi era alcun riferimento alla politica).

Totò, nelle vesti di Antonio La Trippa

Tutto ciò, secondo i giudici, «con un risultato finale, quindi, completamente estraneo alle espressioni interpretative originali dell’artista stesso e piegato a un messaggio politico ancor più alieno a lui»; per chi avesse voglia di andare a leggere le motivazioni, il caso è del Tribunale di Bari, sezione civile depositata il 31 dicembre 2012.

Foto di copertina di Ri Butov da Pixabay

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