L’orgoglio, il “grande peccato” che attanaglia l’uomo di tutti i tempi

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Il dialogo di Gesù con la samaritana, commentato domenica scorsa, ci ha riportati alle origini della fede. La pagina evangelica di questa IV domenica di quaresima ci propone, invece, l’incontro con il cieco nato, un episodio commovente, ma anche ricco, preciso ed abbastanza articolato, attraverso il quale l’evangelista Giovanni spiega il dinamismo della fede e come anch’essa sia soggetta ad ostacoli, difficoltà e sofferenze. A tal proposito così commenta S. Agostino: “Il Signore illumina i ciechi; ora, o fratelli, i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da Lui”. È vero! Il cieco nato, protagonista di questa bellissima pagina evangelica, rappresenta, carissimi, l’umanità di tutti i tempi ma soprattutto l’uomo della nostra epoca che ha tanto bisogno di incontrare Gesù e di essere illuminato dalla sua luce: “Io sono la luce del mondo: chi segue me, non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12). Quale speranza più grande! In queste domeniche di Quaresima, inoltre, attraverso queste pagine bellissime del Vangelo di Giovanni, la liturgia ci propone un vero cammino battesimale. Infatti, domenica scorsa Gesù ha parlato di “un’acqua viva” che solo Lui può dare; oggi, attraverso la misteriosa vicenda del cieco nato, si proclama “la luce del mondo”; domenica prossima, richiamando a vita l’amico Lazzaro, si rivelerà come “la risurrezione e la vita”. Questi tre elementi, acqua-luce-vita, rappresentano, infatti, i segni del Battesimo, porta di tutti i Sacramenti che introduce ed “immerge” i credenti nel mistero pasquale di Cristo, liberandoli dalle scorie del peccato e donando loro la vita eterna. Ma focalizziamo la nostra attenzione sull’episodio del cieco nato (Gv 9,1-41), una pericope evangelica molto lunga e allo stesso tempo utile per la meditazione personale ed efficace per la vita di fede. Qui, tuttavia, non ci fermeremo ad analizzare la lunga pericope ma vogliamo solo evidenziare alcuni aspetti, quelli più interessanti e che ci riguardano più da vicino. Era credenza molto diffusa all’epoca che il povero cieco era nato tale a causa di un peccato commesso dai suoi familiari. Quindi il male era ritenuto una conseguenza del peccato. In tante pagine dell’antico testamento si riscontra questo tipo di mentalità. Gesù, invece, come ha già fatto tante altre volte, vuole debellare questa sorta di pregiudizio promulgando, ancora una volta, la legge dell’amore e dichiara: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (Gv 9,3). Da queste parole sante scaturiscono per noi conforto e speranza. È come avvertire la voce viva di Dio, il suo amore che in tale circostanza si rivela provvidenziale e sapiente insieme. Dinanzi alla debolezza dell’uomo Gesù non bada ad eventuali colpe o errori; Egli indica sempre la volontà di Dio, la Sapienza del Padre che ha creato l’uomo non per la morte ma per la vita, non per la tristezza ma per la felicità. E proprio per questo motivo Egli aggiunge: “Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo” (Gv 9,5). Con la saliva crea del fango che immediatamente applica sugli occhi del povero cieco. Un gesto molto profondo ed eloquente che rimanda al momento della creazione dell’uomo, il cui corpo in origine venne plasmato dalla terra e vivificato dal soffio onnipotente di Dio (Gn 2,7). “Adamo”, infatti, vuol dire “suolo”, ed il corpo umano, in effetti, non è altro che un composto di elementi della terra. Il cieco misteriosamente viene guarito, ora riesce a vedere ogni cosa: distingue perfettamente la sagoma di Gesù, può guardare il cielo, gli alberi, le case, finalmente può guardare se stesso ed accorgersi che non è più come prima perchè, alla stregua di Adamo, si ritrova “ricreato” dall’opus Dei, cioè dall’opera di Dio. Sotto vari aspetti, la guarigione del cieco accende polemiche e discussioni, tutte derivanti dal cuore arido dell’uomo che, purtroppo, si chiude alla grazia di Dio volontariamente. In realtà, Gesù, impastando del fango e ponendolo sugli occhi, compie la guarigione di sabato ed infrange quindi, secondo la mentalità farisaica, il precetto festivo secondo il quale di sabato non si doveva compiere alcun lavoro. Così, alla fine dell’episodio, Gesù ed il cieco vengono “cacciati fuori” dai farisei, colpevoli di reato: il primo perché ha violato la legge del sabato; il secondo perché, nonostante il dono della guarigione, rimane etichettato come peccatore sin dalla nascita. Queste ultime considerazioni, carissimi, ci rivelano una drammatica verità: in questo caso, Gesù rivela al cieco guarito che è venuto nel mondo per operare un giudizio e quindi, separare i ciechi che desiderano guarire da quelli che non si “lasciano” guarire, perché presumono di essere sani. È drammatico, infatti, pensare che alcuni vogliono costruirsi un proprio sistema di sicurezza basato su pseudo-ideologie. Purtroppo, anche le stesse religioni, l’ateismo, il laicismo rischiano di essere attratte da questa tentazione che affonda le sue radici nell’orgoglio e nell’egoismo. Il cristiano, in questo contesto non tanto lontano da noi, è chiamato ad annunziare Gesù. Ma prima dobbiamo chiedere a Cristo la nostra guarigione! Manifestiamo le nostre innumerevoli cecità e miopie, ma soprattutto confessiamo il “grande peccato” (Sal 18,14) che attanaglia l’uomo di tutti i tempi: l’orgoglio. Ci aiuti la Vergine Santa, Madre Odigitria, che generando Cristo nella carne ha dato al mondo l’autore della vera luce. Amen.

Fra Frisina

Nella foto: Michelangelo Buonarroti – Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre – copia-di-arte.com

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