Lobby, questa sconosciuta

20140222_SRD007_0Nella cultura italiana, quando si parla di lobby ci si sofferma subito a pensare che la persona che si ha di fronte, è qualcuno di cui diffidare. Ma perché avviene questo, e prima di ciò, cosa vuol dire fare lobbying?

Proviamo a capirci qualcosa di più.

Il termine lobby trova le sue origini nell’Inghilterra del 1640 per indicare una grande stanza d’ingresso della Camera dei Comuni di Londra, dove si realizzavano dibattiti parlamentari e conversazioni.

In America, nell’800, il termine lobby identificava l’anticamera dell’albergo in cui avvenivano incontri. È negli Stati Uniti che il diritto di fare lobbying viene espressamente tutelato dalla Costituzione, nel primo emendamento del 1791, quale libertà di parola per convincere il decisore pubblico . Si tratta di un’ispirazione liberale, tesa a limitare lo strapotere del governo e di garantire ai cittadini e ai gruppi organizzati la possibilità di far sentire la propria voce mediante i rappresentanti indicati dagli stessi.

Il diritto di presentare istanze, prima che una decisione venga presa, è considerata una necessità al corretto funzionamento dell’apparato statale e sociale. Tale diritto viene affermato anche da Tocqueville, nella sua Democrazia in America, confermando quanto notevole sia l’importanza dell’associazionismo civile e politico: “la libertà di associazione è una garanzia necessaria contro la tirannide della maggioranza. Non solo, ma nei Paesi dove essa è ammessa, le società segrete non esistono. Il concetto di persuasione viene solo con l’esperienza della libertà. L’immensa complessità delle leggi umane fa sì che talvolta l’estrema libertà corregga gli abusi della libertà e l’estrema democrazia prevenga i pericoli della  democrazia” .

Il gruppo di pressione,  quindi, si forma quando il tentativo di realizzare i propri fini, si attiva concretamente per influenzare correttamente i detentori del potere decisionale pubblico. La funzione della lobby è persuasiva; crea consenso quando si muove attorno alla convergenza di interessi generali, e interessi particolari. La lobby riassume un concetto di gestione delle relazioni, una strategia dei rapporti da attuare su qualsiasi soggetto politico, detto policy-maker. Le lobby non possono e non debbono aspirare ad un ruolo politico, ma partecipano al processo decisionale, senza sostituirsi ai partiti politici e alle istituzioni . Nessun Paese può prendere decisioni efficaci, senza tener conto di ciò che accade fuori dal proprio perimetro, poiché ogni democrazia si basa sul principio del rispetto e della tutela degli interessi della propria comunità.

La possibilità di sentirsi rappresentati, all’interno della propria realtà sociale, permette, quindi, ai cittadini di divenire consapevoli attraverso una legittima richiesta di rappresentanza. È il processo per mezzo del quale i rappresentanti dei gruppi di interesse, agendo da intermediari portano a conoscenza dei decision-makers le istanze dei rispettivi gruppi. Lobbying è, quindi soprattutto, una trasmissione di messaggi del gruppo di pressione ai decision-makers per mezzo di rappresentanti specializzati.

I pilastri dell’attività di lobbying sono il processo di comunicazione e di informazione, che vengono messi in atto dal rappresentante degli interessi, che deve legittimamente far comprendere le istanza/necessità dei propri clienti, nei confronti del decisore pubblico, confacente all’agenda politica. Questo modus operandi permette che il dibattito politico divenga quasi corale, attraverso l’ampio raggio di scelte possibili.

Vincenzo Mascellaro, noto lobbista italiano, afferma: “le Relazioni Istituzionali attengono a quelle attività di Relazioni Pubbliche indirizzate prevalentemente ai rappresentanti di Governo e Parlamento, sovranazionale, nazionale e locale. Esse contribuiscono fondamentalmente al raggiungimento degli obiettivi di una organizzazione (Ente, Azienda, Associazione, etc.) grazie ad un’attività continuativa, consapevole e programmata di gestione e coordinamento dei sistemi di relazione che si attivano fra la stessa organizzazione e i segmenti di pubblico istituzionale per essa influenti”.

La necessità di stabilire regole e procedure, che presiedano al rapporto fra gruppi di pressione e classe politica, è divenuta improcrastinabile. Le lobby concorrono alla formazione della volontà generale, informata e consapevole, che deve esprimersi negli atti legislativi, di governo e di amministrazione della cosa pubblica. Le lobby sono utili anche per migliorare il funzionamento della democrazia e della politica. Bisogna prendere atto che la regolamentazione delle lobby contribuisce a legittimare l’espressione di una società multiforme, valorizzando il naturale sviluppo delle democrazie industriali. Occorre ampliare la definizione dell’attività di relazioni istituzionali includendovi anche le azioni svolte per fini sociali, umanitari, intraprese da organizzazioni sindacali, di categoria, religiose, no-profit, e quelle espresse da comunicazioni pubbliche o rese nel corso di audizioni e incontri con rappresentanti delle istituzioni anche in sedi pubbliche. Una possibile e chiara regolamentazione potrebbe mettere i decisori pubblici nella condizione di dar l’esempio, che la decisione pubblica può essere intrapresa in maniera trasparente nei confronti dei vari interessi rappresentanti, permettendo la creazione di un legittimo confronto fra rappresentante e rappresentato, fra Stato e società civile.

A che punto è la notte?

La lobby, in Italia, richiama l’idea di pressioni sotterranee esercitate da poteri forti e occulti, le quali minano la democrazia. È proprio la mancanza di trasparenza che richiede un intervento della materia, attraverso  una specifica legge. Bisogna riformulare, valorizzare in Italia il concetto di rappresentanza degli interessi, concetto utilizzato al fine di descrivere attività criminose condotte da soggetti che sono poco identificabili. Sbagliato. Questo messaggio distorto di informazione, del termine lobbying, continua ad alimentare la necessità di escludere le lobby dal sistema decisionale, in quanto risultanti pericolose al Paese. Occorre dare un perimetro d’azione. Non si è mai fatta luce su cosa si volesse intendere per attività di lobbying. Una zona grigia in cui operare, ha scritto qualcuno, oppure una mazzetta sottobanco da recapitare a faccendieri, e non lobbisti.

L’attuale situazione normativa italiana sulla rappresentanza degli interessi è ferma con ben 58 D.L., presentati dal 1958 ad oggi, rimasti fermi sui tavoli di Camera e Senato. Questa priva volontà politica è configurabile all’interno delle vicissitudini quotidiane. Ad esempio, basti vedere la cronaca politica per farsi un’idea che negli articoli di giornali, i titoli e sottotitoli sono quelli in cui conflitto di interesse e interessi personali, ne fanno da padrone.  La costante ciliegina sulla torta è quella di far passare la   lobby come causa di questi scandali, e come portatrice di disordine, messa in opera da faccendieri e “uomini bustarelle”. Che la critica sia giusta è dato certo, non essendoci una legge che regolamenti la materia in toto, cosi come dato certo è, anche, la mancanza di chiarezza del ruolo democratico a cui assolvono i gruppi di interessi.

L’impatto narrativo e stilistico sicuramente attira il lettore, con il rovescio della medaglia di mostrare le lobby come qualcosa di oscuro e malefico, che caratterizza il sottobosco politico italiano. Lo scorso 26 Aprile, la Giunta della Camera dei Deputati ha approvato l’istituzione di un registro pubblico, in cui viene data facoltà ai lobbisti di iscriversi e di esercitare attività di lobbying presso i decisori pubblici, attraverso requisiti d’accesso e caratteri di azione. Questo intervento del registro pubblico sicuramente è un passo avanti per l’aspetto e l’esercizio dell’attività di lobbying, ma non è che il solo punto di partenza per arrivare alla legge vera e propria. Quindi se, da una parte, la mancanza di una legge sulla rappresentanza degli interessi continua a non veder ancora luce, occorre trovare il modo di permettere ai cittadini di poter esprimere le proprie richieste, ed informarsi legittimamente sulle azioni decisionali prese.

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