La verità sul panettone industriale

Alzi la mano chi non ha ancora fatto scorta di panettone per tutto il periodo delle feste. Uno da aprire il giorno di Natale, due da regalare, uno con la variante senza canditi, uno ripieno di cioccolato e uno con mandorle e limoncello… la varietà è infinita.

Occorre però porsi un paio di domande. La prima: quali tra i panettoni industriali comunemente venduti nei supermercati si possano davvero definire tali? E, in secondo luogo, il panettone industriale va demonizzato solo perché ipercalorico o ci sono altre ragioni?

Gli italiani sono talmente affezionati al loro dolce tipico del Natale che esiste perfino una legge, il decreto del 22 luglio 2005 emanato dal Ministero delle attività produttive, che definisce cosa si intende per panettone: “La denominazione «panettone» è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico, di struttura soffice ad alveolatura allungata e aroma tipico di lievitazione a pasta acida.” Inoltre il decreto stabilisce quali sono gli otto ingredienti che il prodotto deve contenere. Essi sono: farina di frumento, zucchero, uova di gallina di categoria «A», burro in quantità non inferiore al 16%, uvetta, scorze di agrumi canditi, lievito naturale costituito da pasta acida, sale.

Se fosse vero che gli ingredienti dei panettoni industriali si limitano a questi otto, il nostro dolce delle feste sarebbe sì un po’ pesante, soprattutto se consumato dopo un pasto già di per sé abbondante. Tuttavia lo si potrebbe ancora definire un prodotto genuino, in quanto composto all’incirca dagli stessi ingredienti che una mamma coscienziosa metterebbe nella torta per la merenda dei suoi bambini.

Se però andiamo a leggere l’etichetta di uno qualsiasi dei panettoni delle marche più note, scopriamo che la lista è ben più corposa. Nella maggior parte dei casi, non saremmo nemmeno in grado di decifrare cosa davvero si nasconda dietro a quella sfilza di nomi da tavola chimica degli elementi. Dolcificanti quali sciroppo di zucchero invertito, sciroppi di glucosio o di glucosio-fruttosio; additivi –ovvero conservanti ed emulsionanti- come mono e digliceridi degli acidi grassi e acido sorbico; aromi (i quali, se non contengono la specificazione “naturali”, sono automaticamente di origine chimica).
Tutte sostanze scelte dalle case produttrici essenzialmente per due ragioni. Innanzitutto, sono ottenute grazie a processi chimici. Impiegate in quantità minori rispetto agli ingredienti naturali, sono in grado di garantire un prodotto più saporito e un periodo di conservazione di diversi mesi. Dunque, il risultato finale sarà un panettone più gustoso per il palato del consumatore, estremamente economico (meno di 8 euro al chilo) ma in realtà più scadente. Per fare solo un esempio, il fruttosio viene impiegato perché ha un potere dolcificante superiore a quello del saccarosio, quindi ne serve una quantità minore. Peccato che alcuni studi sostengano che faccia aumentare il livello di trigliceridi nel sangue e la glicemia molto più rapidamente rispetto al saccarosio, accrescendo dunque il rischio cardiovascolare.

Se a ciò si aggiunge il fatto che spesso il lievito naturale da pasta acida viene sostituito da quello in polvere, più economico ma anche molto meno digeribile, viene da chiedersi cosa resti della tradizione secolare del nostro dolce nazionale.
Non a caso sia nel 2010 sia nel 2011 Altroconsumo ha bocciato la maggior parte delle più note marche di panettone industriale presenti sul mercato. Attendiamo di sapere quale sarà il responso per il 2012.

di Eleonora Alice Fornara

foto: italiasquisita.net

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