La politica di ieri e quella di oggi

giorgio_napolitano_matteo_renziCon il blitz di Renzi alla Presidenza del Consiglio si è arrivati ad una nuova fase della politica italiana. Il metodo però  ricorda quello della Prima Repubblica quando ad un democristiano al governo se ne sceglieva un altro, dopo le pragmatiche “consultazioni” con il Capo dello Sato.  

A quei tempi, il Presidente del Consiglio, durava al massimo due anni, poi era costretto a dimettersi e si faceva un nuovo governo con un giro complesso di nomine ai vari ministeri e si andava avanti.

Gli ultimi venti anni sono stati contraddistinti dalla Presidenza di Berlusconi,  fatto salvo due governi con Prodi eletto, ma alla prova dei fatti, non governante. Prodi come si sa è sempre stato fatto fuori dal “fuoco amico” o come dice qualcuno da “congiure interne al palazzo”.

Se quindi Berlusconi è riuscito a governare nelle sue legislature, questo non è riuscito all’opposizione, che nei fatti tra guerre intestine, e crisi varie, non è riuscita a trovare una amalgama che consentisse di arrivare a fine legislatura.

Cosa potrebbe significare questo? Che Berlusconi è riuscito a governare il suo partito con il pugno di ferro, facendo fuori politicamente tutti i suoi avversari interni vedi Fini, Casini ecc. o che in fondo esiste una maggiore compattezza all’interno del partito berlusconiano?

Dall’altra parte invece, le guerre intestine, hanno di fatto impedito di costruire un partito unico, una solida coalizione, con un leader carismatico, in grado unire intorno a sè il consenso di un elettorato e di conseguenza essere in grado di continuare a governare secondo il mandato degli elettori.

Ma cosa è cambiato nella struttura dei partiti dalla Prima Repubblica ad oggi?  In fondo il sistema elettorale garantisce al vincitore il diritto di fare il Premier e quindi di governare con il suo partito.

L’esperienza di Bersani e di Letta hanno dimostrato proprio il contrario. Al di fuori dei numeri o di premi di maggioranza che hanno reso comunque difficile il governare, di fatto si è assistito ad una esautorazione dei vincitori delle elezioni, non tanto per la bravura dell’opposizione, ma grazie a quelle forze che in realtà avrebbero dovuto sostenere il candidato vincitore.

Renzi si è dimostrato più un politico da Prima Repubblica che da Seconda. Ha esautorato Letta prendendone il posto, minacciando, in caso contrario, di farlo sfiduciare in Parlamento. Sembra quasi essere tornati ai tempi del Pentapartito, quando a un certo punto, si decideva che il Governo era morto e quindi bisognava farlo cadere.

A questo punto è ritornato di moda un termine un pò antiquato quello delle “Correnti”.

Un termine che veniva usato, per descriverei diversi gruppi all’interno di partiti, che elaboravano linee politiche, anche in contrasto tra di loro, che raccoglievano il consenso dei militanti e che nei congressi alla fine decidevano, dopo lunghe trattative, non solo chi dovesse dirigere nel partito, ma anche la linea o le strategie da seguire.

Il libero pensiero, nella politica è elemento fondamentale, il bisogno di confronto, la decisione di proporre idee e strategie diverse su temi della politica, dell’economia, sono la base per uno sviluppo della politica tesa a guidare un Paese.

Senza confronto interno, senza elaborazioni di linea, senza valutazioni scelte strategiche, con confronti anche duri non vi è dibattito e quindi non vi è crescita del sistema. Un confronto tra diverse correnti di pensiero, è l’essenza stessa per l’esistenza di un partito in una società democratica.

 Al contrario l’assenza di un dibattito interno, di  un confronto o si arriva un partito monolitico, con un leader contornato da meri esecutori,  oppure si è in presenza di  un partito senza unità, una semplice coalizione, che si sbanda alle prime difficoltà dilaniandosi in guerre intestine.

Se la “corrente” è parte interna e vitale di un partito, è altrettanto importante l’esistenza stessa del “partito” inteso come l’unità di tutte le componenti, con un suo sistema di organizzazione e di confronto, continuo e costante che parta dai livelli dei singoli militanti, fino ai congressi nazionali.

Ma soprattutto il Partito era il punto nevralgico della battaglia politica, e solo al suo interno o con il suo apporto, questa aveva un senso. Nessuna scissione quindi, si restava e si discuteva. Si accettavano le vittorie e le sconfitte ma sempre all’interno del partito. Questo sistema, piaccia o no, alla fine trovava il suo vero giudice: il voto degli elettori.

La democrazia funziona così. L’alternativa è solo Xfactor della politica.

di Gianfranco Marullo

foto: diregiovani.it

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