La parabola del buon samaritano

La liturgia domenicale ci offre una delle pagine evangeliche più belle, molto conosciuta anche se, purtroppo, messa in pratica da pochi; tuttavia ha rappresentato e rappresenta ancora oggi fonte di ispirazione per numerosi artisti e pittori. Oggi la liturgia ci invita a riflettere sul comandamento dell’amore, sintesi di tutti i comandamenti e sulla parabola del buon samaritano. Ma analizziamo subito la pagina evangelica e, insieme al dottore della legge, anche noi chiediamo a Gesù cosa dobbiamo fare per avere la vita eterna? Sicuramente il Maestro risponderà allo stesso modo consegnandoci il comandamento dell’amore: “Ama il Signore tuo Dio ed ama il tuo prossimo come te stesso”. La metodologia per amare il nostro prossimo è indicata da Gesù nella parabola del buon samaritano. Ma, procediamo con ordine. Il dottore della legge formula a Gesù due domande precise: “Che cosa devo fare?” e “Chi è il mio prossimo?” Circa la prima domanda, Benedetto XVI, nel messaggio per la scorsa XXV GMG, così parlava ai giovani: “La stagione della vita in cui siete immersi è il momento di interrogarvi sul senso autentico dell’esistenza e di domandarvi: “Sono soddisfatto della mia vita? C’è qualcosa che manca? Per scoprire il progetto di vita che può rendervi pienamente felici, mettetevi in ascolto di Dio, che ha un suo disegno di amore su ciascuno di voi. Non abbiate paura della sua risposta!” Certamente, questo monito del Papa vale anche per ciascuno di noi. “Mettersi in ascolto di Dio” in altre parole significa che Dio deve essere al centro e il centro della nostra vita”. Che cosa devo fare per avere la vita eterna? Questa domanda del dottore della Legge, che egli formula per mettere in trappola Gesù, è ben lontana dalle nostre preoccupazioni, soprattutto oggi. Infatti, “non siamo noi coloro a cui il mondo e il progresso danno piena felicità?”, anche se la domanda di senso sulla “vita eterna” ce la poniamo in particolari momenti dolorosi della nostra vita, soprattutto quando subiamo la perdita di una persona cara o quando viviamo la frustrazione dell’insuccesso. Ma cos’è la “vita eterna” cui si riferisce il dottore della legge? Essa, come dice Gesù, è la via della felicità senza fine, quando saremo riempiti dall’amore divino, per sempre. Interrogarci sul nostro futuro aiuta a dare senso pieno all’esistenza; ci porta ad amare il mondo, come Dio stesso lo ha amato; ci sprona a dedicarci al suo sviluppo e al suo progresso, finalizzati sempre al bene comune, sempre con la libertà e la gioia che nascono dalla fede e dalla speranza. Che cos’è la vita eterna? è una domanda che ci aiuta a non assolutizzare le cose terrene e a sentirci, come ci esorta sant’Agostino, “pellegrini quaggiù”. Carissimi, abbiamo estrema cura del nostro progetto di vita: tutto tende ed è chiamato a vivere di eternità, a partire da qui, perché Dio ci ha creati per stare con Lui, sempre. Solo se seguiamo le orme di quest’orizzonte daremo qualità alla nostra esistenza. Il dottore della Legge è pienamente convinto di quest’orizzonte, ma quasi ad insistere, vuole porre una seconda domanda, di grande attualità: “E chi è il mio prossimo?”. Risposta facile a parole ma difficile a fatti e concretamente. La vicenda del buon samaritano ci viene in aiuto. E i nostri sentimenti di umanità vanno subito al malcapitato, al “mezzo morto”, così Gesù lo chiama nel Vangelo. Quanti “mezzi morti” ci sono intorno a noi! E amare il nostro prossimo significa proprio prenderci cura di costoro, fermandoci, avendo compassione, facendoci vicini, senza timori o pregiudizi. Accogliere Dio nella propria vita si deve tradurre nel dirigersi verso gli altri, perchè anche noi, come ha già fatto Dio, inviandoci Cristo Gesù, dobbiamo andare verso l’uomo. Ricordiamo l’altro monito di Gesù che è sempre valido e che ci acquista il biglietto per entrare nella vita eterna e a cui prima facevamo riferimento: “Quello che fate ad uno di questi piccoli, lo fate a Me”. Mi piace proporvi l’esempio del Beato Rosmini il quale accenna a tre forme di carità, tre tipologie di amore: la carità corporale, intellettuale e spirituale. La prima (corporale) è l’amore proprio umano, quello che per es. può esprimersi tra un uomo e una donna; la seconda (intellettuale) è il dialogo di amore instaurato da fede e ragione, per poter insieme parlare di Dio; l’ultima (carità spirituale) è quella più importante perchè racchiude le altre due ed è ciò che di per sé è bene per il prossimo; il Rosmini la individua nella vita eterna. Il samaritano, a differenza dei briganti, del sacerdote e del levita, veramente, come afferma Giovanni Paolo II al n° 84 del documento Chiesa in Europa, “non riesce a vivere senza amore; Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo esperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa attivamente”. Che grande insegnamento! Ognuno di noi, nel suo spazio, nel suo tempo è chiamato ad essere un buon samaritano; chiediamo perdono se a volte, forse per egoismo, per interessi, per paura, indossiamo i panni dei briganti o dell’indifferenza. A volte basta davvero poco per far sorridere chi un sorriso non sa cos’è. Basta poco a rasserenare chi la serenità non sa cos’è. Se i Santi sono tali forse è perchè hanno dato molta importanza a questo “poco”, facendolo fruttificare prima per 10, poi per 100 e poi ancora per 1000. Seguiamo il loro esempio; così facendo anche noi ci costruiremo un posto sicuro in Cielo.

Fra Frisina

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.