La fede, un dono prezioso, è libertà, pienezza di vita e salvezza

La Parola di Dio proposta in questa domenica ci fa meditare ancora una volta sulla fede. Domenica scorsa Gesù, con l’immagine del granello di senape, ci ha fatto comprendere che la fede non è solo una questione di quantità ma soprattutto di qualità. E anche oggi la Parola ci immette in questa riflessione. Gesù continua il suo viaggio verso Gerusalemme (Lc 17,11) e passando per città e villaggi annuncia il Regno di Dio servendosi anche del racconto di parabole. Nel Vangelo di questa Domenica è racchiuso tutto il senso della missione di Gesù che ha caratteristiche universali sia nel tempo che nello spazio. Ma, in che cosa consiste questa missione? Il Vangelo di oggi, a proposito, è molto chiaro e ci lascia un messaggio: Gesù cammina sempre verso gli uomini! Il racconto infatti, inizia proprio con un incontro: “Mentre egli entrava in un villaggio, gli si fecero incontro dieci lebbrosi”. La fede quindi nasce dall’incontro tra Dio e l’uomo. I lebbrosi sono come tutti gli uomini; anche loro, come noi, serbano nel loro cuore il desiderio di vivere e, “pur restando a distanza”, perchè molto contagiosi, vogliono accostarsi a Gesù. La lebbra infatti, oltre ad essere una grave malattia, all’epoca era considerata come il segno del peccato e quindi della maledizione divina. Per farsi notare da Gesù e quindi per essere guariti, iniziano ad invocare il suo nome. Costoro gridano perché percepiscono che solo Gesù può condividere con loro questa grande sofferenza; e il loro grido, carissimi, è immagine della nostra preghiera. Inoltre, lo chiamano “maestro” ed è l’unica volta che Gesù viene denominato così da qualcuno che non è suo discepolo, con un riferimento non tanto al suo insegnamento ma al suo essere autorevole. “Andate dai sacerdoti”, dice loro Gesù. Proferendo queste parole il Maestro promette loro la guarigione. Mostrarsi ai sacerdoti infatti, era il gesto che i lebbrosi dovevano compiere perché quelli potessero attestare la loro sanità ed essere i garanti della guarigione ottenuta. Infatti, “mentre essi andavano, vennero purificati”. La loro fiducia e la loro fede nella parola di Gesù li ha esauditi. Essi ormai sono guariti e secondo la Legge possono essere reintegrati all’interno della società. Per i nove Giudei (i giusti), il cammino è quindi concluso; a loro non interessava altro che la Legge li dichiarasse “purificati”. Invece non è così per il Samaritano, considerato dai Giudei un eretico: per lui il cammino non è finito, a lui non interessa che la Legge lo dichiari “purificato”. L’esperienza appena vissuta è così grande che la sua vita rinasce, capisce che Gesù non è solo il Maestro della Legge ma è soprattutto espressione di quel Dio che il Salmista definisce “Buono e pietoso verso i poveri”. La fede di quest’uomo è una fede che spinge al ringraziamento: “e cadde faccia a terra ai suoi piedi, ringraziandolo”, ed essa deve scuotere la nostra, affinché possiamo riscoprire il senso della nostra “eucaristia” che è “rendimento di grazie”. Forse a volte però, proprio come i nove Giudei, ci accontentiamo soltanto dell’osservanza della Legge e quindi, ingrati, pur sperimentando la bellezza di avere Gesù come costante punto di riferimento, continuiamo il nostro cammino su strade che non ci appartengono e che sempre più ci allontanano da Lui; non ci accorgiamo, carissimi, che laceriamo il dono della fede, un dono prezioso che è libertà, pienezza di vita, salvezza, proprio come è illustrato nella prima lettura di oggi, tratta dal secondo libro dei Re. Protagonista di una guarigione è infatti, Naaman, un generale dell’esercito arameo che arriva con la sua delegazione dinanzi ad Eliseo, il profeta di Dio. Quest’ultimo coglie l’occasione per affermare che solo nel Signore c’è salvezza e impone a Naaman, per essere sanato, un semplice rito di purificazione nel Giordano, da ripetersi sette volte. La reazione di Naaman inizialmente è sconcertata perché egli non sa capire che l’atto richiesto dal profeta è religioso e non meramente rituale o terapeutico. Ma alla fine, su consiglio dei suoi servi, esegue il settenario di immersioni nel Giordano ed ecco la grande sorpresa: “la sua carne tornò come quella di un ragazzo”. E così anche lui poteva essere riammesso a corte e nella vita civile. Ma l’autore biblico tiene a sottolineare soprattutto la sua conversione: infatti, Naaman pronuncia una preghiera di ringraziamento al Dio di Eliseo ed essa rappresenta una vera e propria professione di fede. Nella seconda lettura tratta dalla seconda lettera di S. Paolo a Timoteo, l’Apostolo invece, ci parla della fedeltà di Dio: “anche se noi manchiamo di fede, Dio rimane fedele per sempre”; Dio infatti, mai ci abbandona ed instancabilmente ci aiuta a sollevare lo sguardo da questa terra al cielo. Per svolgere il suo compito di missionario, Paolo è disposto a sostenere qualsiasi tipo di prova. Anche le catene che gli impediscono di muoversi liberamente non le considera un ostacolo, anzi, esse sono un valido mezzo per la propagazione del vangelo. In questi termini vi è dunque, non una dottrina ma un rapporto personale con Dio che viene proposto a tutti come esempio di vita. Nonostante le catene ed ogni tipo di sofferenza il Vangelo deve raggiungere tutti gli uomini di buona volontà. Prendiamo anche noi esempio e domandiamoci serenamente “a che punto è la nostra testimonianza missionaria?

Fra Frisina

Foto: http://paroledivita.myblog.it/ 

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.