Karl Polanyi. Le origini della crisi della nostra epoca

Nell’era di un’economia fallace e di un capitalismo incerto e dibattuto, rispolverare il pensiero dello storico, economista e antropologo ungherese Karl Polanyi può offrire uno sguardo retrospettivo e allo stesso tempo esegetico sulla congiuntura attuale, aiutandoci a comprendere le ragioni della crisi economica e sociale contemporanea a livello europeo.

Involuzione, stagnazione e regressione sono espressioni di un capitalismo che non funziona più, oscuro e volatile – pur ammettendo, tuttavia, che il capitalismo è ad oggi l’unico sistema economico di cui disponiamo – dove i pilastri di quello che dovrebbe essere uno stato sociale vengono a poco a poco indeboliti fino ad essere completamente smantellati, piuttosto che ricostruiti e supportati.

Karl Polanyi, tra i più acuti e profondi testimoni delle due grandi guerre mondiali, sosteneva che i mercati liberi dal controllo sociale avessero creato instabilità, insicurezza e ribellione in Europa, stati d’animo che sono poi confluiti nella crisi della democrazia e nei regimi dittatoriali del fascismo e del nazismo, con il conseguente collasso dell’ordine politico.  

“La Grande Trasformazione”, pubblicato nel 1944, è il contributo più significativo dell’autore. Questa contiene i presupposti teorici di un’economia “più sociale” e soprattutto un’accurata analisi in merito all’evoluzione del ruolo che le relazioni di mercato hanno giocato nella società nel corso della storia umana, arrivando alla spiegazione di come l’economia risulti oggi totalmente separata e scorporata dai sistemi socio-ecologici.

Mercificazione e finzione

La grande trasformazione della società tradizionale è avvenuta attraverso la mercificazione forzata di tre fattori – terra, denaro e lavoro – con il beneficio dell’intervento statale.  Secondo Polanyi, la definizione di merce è frutto del mercato, prodotto dalla necessità di vendita e guadagno. Il lavoro, la terra e il denaro non possono essere delle merci; il lavoro è attività umana, la terra è natura, il denaro è solo un simbolo del potere d’acquisto. In questo senso, limitare l’essenza sostanziale di questi tre elementi a una semplice compravendita non può che essere una finzione, intesa come finta costruzione sociale. Polanyi sottolinea pertanto l’importanza di saper cogliere la realtà dei sistemi sociali, inteso come rapporto istituzionale di e tra persone, nello studio della vita economica.

Il fattore chiave delle critiche di Polanyi nei confronti delle società moderne è lo sganciamento del mercato dalla società. Egli studia tale processo parlando di “disembeddedness”, sradicamento. In sociologia economica, il termine “embeddedness” trova la sua corrispondenza italiana nell’espressione di “radicamento” o “incorporamento”. Il concetto si riferisce al grado in cui l’attività economica è vincolata da istituzioni non economiche. Attingendo da quello che egli chiama “l’approccio societale”, Polanyi concepisce la vita economica come un insieme di relazioni e istituzioni che va e deve andare ben oltre la semplice transazione di beni e servizi.

Il mercato non è affatto naturale, piuttosto una creazione umana, progettata politicamente e istituzionalmente. Prima del diciannovesimo secolo l’economia umana era ancora radicata nella società, essendo il mercato parte dell’economia, e quest’ultima, a sua volta, parte integrante della società. L’economia di mercato non è e non può quindi essere un fine in sé per sé, piuttosto un mezzo attraverso il quale raggiungere altri fini, che rispondono a esigenze sociali e umane.

Il significato di economia

Polanyi sostiene che il termine “economia” abbia due significati. Il significato formale, usato dagli economisti neoclassici, si riferisce all’economia come la logica dell’azione razionale e del processo decisionale, come scelta più conveniente in merito all’uso di mezzi di per sé limitati; si parla pertanto indifferentemente di economia come capacità di ‘economizzare’, ‘massimizzare’ o ‘ottimizzare’. Il secondo significato sostanziale non presuppone né un processo decisionale razionale né condizioni di scarsità; si riferisce piuttosto a come gli esseri umani si guadagnano da vivere interagendo all’interno dei loro ambienti sociali e naturali.

La strategia di sussistenza di una società è vista come un adattamento al suo ambiente e alle condizioni materiali, un processo che può o meno coinvolgere la massimizzazione dell’utilità. Il significato sostanziale di economia guarda quindi al sistema economico conferendogli un senso più ampio di quello del mero approvvigionamento. L’economia è il modo in cui la società soddisfa i bisogni materiali. Polanyi sostiene che concentrarsi sul comportamento atomistico – nel senso di frammentario, disorganico – è fuorviante. Adottando un approccio storico, egli arriva a formulare il concetto di embeddedness come principio metodologico che guarda alla società nel suo insieme, ai vari modi in cui la vita economica è strutturata e plasmata dalle istituzioni e dalle relazioni sociali.

Redistribuzione e reciprocità

Nella sua opera più importante, Polanyi determina i tre principali canali di scambio economico tipici delle società tradizionali: ridistribuzione, reciprocità e sussistenza. Come egli spiega: la reciprocità è quella relazione che si instaura quando un oggetto viene scambiato con un altro di valore più o meno uguale, congiuntamente convenuto dalle parti interessate anche  a distanza tempo l’uno dall’altro (un individuo può  dare ad un altro senza un ritorno immediato); la ridistribuzione avviene per mano di un agente super partes che raccoglie e ridistribuisce i beni tra i membri del gruppo; la sussistenza consiste nella produzione per uso domestico o autoconsumo. Quello che Polanyi intende sottolineare è che il mercato è solo una delle possibili vie di integrazione economica, non l’unica esistente, dal momento che la compravendita ha svolto fino a tempi recenti  un ruolo minore nella maggior parte delle società.

Pur riconoscendo la distinzione e tale frattura tra società tradizionale e moderna, Polanyi sostiene che il vero male non sia il mercato in sé, quanto il passaggio, avvenuto alla fine del diciottesimo secolo, da mercati (etero)regolamentati a mercati autoregolamentati. Questo cambiamento ha rappresentato la trasformazione radicale e definitiva nella struttura della società, per cui le moderne economie di mercato sono realtà totalmente sganciate dagli elementi socio-strutturali e culturali dei sistemi all’interno dei quali di fatto esse si muovono.

Precursore e insolito attuale

Il noto economista Joseph Stiglitz evidenzia due importanti contributi che Karl Polanyi ha lasciato alla letteratura, di enorme validità oggigiorno. Prima di tutto, nella sua obiezione all’atteggiamento che l’uomo ha verso la natura, trattandola come merce, Polanyi anticipa molti degli argomenti appartenenti agli ambientalisti contemporanei. Il secondo livello dell’argomentazione di Polanyi si concentra sul ruolo dello stato nell’economia; anche laddove l’economia può autoregolarsi, lo stato è tenuto a svolgere il proprio ruolo di ente regolatore, impegnandosi quindi in un costante aggiustamento dell’offerta di moneta e di credito, scongiurando doppi pericoli di inflazione e deflazione. Allo stesso modo, lo stato deve gestire la mutevole domanda di forza lavoro fornendo sollievo nei periodi di disoccupazione, istruendo e formando i futuri lavoratori e cercando di influenzare i flussi migratori. Polanyi attribuisce al “credo della falsità” e all’illusione di un mercato libero in grado di autoregolamentarsi l’espressione di “credo liberale”.

Mentre ‘la natura delle cose’ e la storia prevedono un’economia incorporata nelle relazioni sociali, noi viviamo in un reticolato opposto, dove le relazioni sociali si muovono, strette e costrette, come tasselli di un sistema economico, finendo così per economizzare e monetizzare ogni elemento culturale e sociale della nostra esistenza.

Foto di anncapictures da Pixabay 

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