Justin Gatlin spunta dal passato a rovinare l’addio di Usain Bolt

Gatlin1Sono iniziati, a Londra, i XVI Campionati del Mondo di Atletica leggera. Una disciplina che per noi italiani ricorda i fasti di un lontano passato, quello delle gesta di Livio Berruti, di Pietro Mennea e di Sara Simeoni o di Alberto Cova, che ora ce la racconta in telecronaca su Eurosport.

Nel frattempo, nel resto del mondo, l’atletica è strumento di propaganda politica al pari delle sanzioni economiche. La Russia di Putin, infatti, in una manifestazione che dovrebbe unire uomini e donne di tutto il mondo in nome del benessere fisico, è stata squalificata come nazione e come bandiera e i suoi 19 atleti sono costretti a gareggiare come “Atleti Neutrali Autorizzati”.

La prima giornata di gare, come da calendario consolidato della manifestazione, comprende le finali dei 10.000 metri (uomini e donne) e – soprattutto – le batterie, le semifinali e la finale dei 100 metri maschili. Per tale motivo, ieri 14 agosto, sarebbe stato ricordato come l’addio alle gare individuali del giamaicano Usain Bolt, il più grande atleta che la storia ricordi.

Bolt il “cannibale”

Gatlin2Bolt, nella sua carriera, ha strabattuto i suoi avversari in tre Olimpiadi (Pechino 2008, Londra 2012, Rio 2016) e quattro campionati del mondo consecutivi (Berlino 2009, Taegu 2011, Mosca 2013 e Pechino 2015), nelle specialità dei 100, 200 metri e, con la squadra giamaicana, nella staffetta 4×100, per un totale di otto medaglie d’oro olimpiche e undici “mondiali”. Solo una partenza falsa a Taegu 2011, nei 100 e la squalifica per doping di un suo compagno di squadra della 4×100, a Pechino 2008, lo hanno fermato, nell’ultimo decennio. I suoi record del mondo sono assolutamente inavvicinabili da parte di qualunque altro atleta.

Poi, dopo le ultime vittorie olimpiche dell’anno scorso, a Rio, Bolt ha guardato il calendario e si è reso conto di avere ormai trent’anni e si è sentito “stanco”. Non se l’è sentita, però, di ritirarsi subito. Ha traccheggiato qualche mese, poi ha dichiarato che avrebbe gareggiato ancora sino ai mondiali di Londra, ma solo sui 100 metri e, forse, nella finale della 4×100. Chiaramente, dalle Olimpiadi ad oggi, ha “gigioneggiato” più che allenarsi. Nel frattempo, ha anche chiesto la mano alla modella Kasi Bennett, ricevendo un sospirato “sì”.

A questi Campionati del mondo, Bolt si è presentato con il settimo tempo dell’anno (9.95), dietro allo statunitense Coleman (9.82), al connazionale Blake (9.90) e al sudafricano Simbine (9.92). Tutti tempi abissalmente lontani dal suo record mondiale (9.58). Pochi avevano notato che, lo stesso tempo di Bolt, era stato ottenuto, un mese fa, da tale Justin Gatlin, battendo il compagno di squadra Coleman, alle qualificazioni per i mondiali degli atleti USA.

Gatlin l’ex “dopato”

Gatlin3Justin Gatlin, di anni, ne ha addirittura trentacinque e proviene dall’era pre-Bolt. Nel 2005 aveva vinto i mondiali di Helsinki, sia nei 100 che nei 200 metri e l’anno dopo aveva uguagliato il record del mondo dei 100, allora in possesso del giamaicano Asafa Powell, con 9.77. Poi fu trovato positivo a un controllo antidoping; già recidivo, fu squalificato per otto anni (ridotti a quattro) e gli fu tolto il primato mondiale dei 100. Tornato a gareggiare, si è trovato davanti il fenomeno Bolt che gli ha lasciato le briciole, consistenti, pur sempre, in quattro argenti “mondiali”, un argento e un bronzo “olimpici”.

Ieri, in un tripudio di folla osannante, Bolt aveva corso batterie e semifinale, evidenziando la sua approssimativa condizione di forma. Aveva vinto la sua batteria, ma correndo praticamente solo dai 50 agli 80 metri; in semifinale si era trovato davanti Coleman ma, dopo avergli recuperato un paio di metri, nella seconda metà della gara, era giunto solo secondo. Non perdeva una gara dal 2013.

Questo risultato, confermando quanto di buono aveva dimostrato Coleman all’inizio di quest’anno, aveva fatto assurgere il ventenne statunitense a “sfidante ufficiale” di Bolt, per la conquista della medaglia d’oro. Qualcuno propendeva per Blake (vincitore dell’altra semifinale); nessuno citava Gatlin.

La gara

In finale, mentre Bolt e Coleman avrebbero corso fianco a fianco – rispettivamente – nelle corsie 3 e 4, a Gatlin era stata assegnata la corsia 9, quella solitamente riservata ai derelitti. Quando lo speaker ha pronunciato il suo nome la folla dello Stadio Elisabetta II, ricordando le sue vicende trascorse, lo ha sommerso di fischi.

Alla partenza, Bolt reagisce come un gatto di piombo, mentre Coleman schizza dai blocchi avanti a tutti. La partenza di Gatlin non è niente di ché: poco avanti a Bolt. Coleman conduce praticamente per tutta la gara e solo intorno ai cinquanta-sessanta metri, Bolt si sveglia dal suo torpore. Recupera quasi tutto il distacco da Coleman, il quale, teso a non farsi superare dal giamaicano alla sua sinistra, non si accorge che, dall’altro lato, in fondo a destra, Gatlin lo ha praticamente affiancato e sta mettendo la freccia. Il trentacinquenne statunitense si lancia furioso sul traguardo e vince: dopo dodici anni, è nuovamente campione del mondo. Bolt è solo terzo.

Onore a Mo Farah e al British way of life

Mo_FarahDopo la gara, si sono viste scene incredibili. Prima l’urlo “alla Tarzan” di Gatlin, rivolto alla folla che prima lo aveva fischiato; poi il suo omaggio a Usain Bolt, inchinato di fronte a lui in atto di sottomissione. Infine, la scena allucinante di tutti i fotografi, le videocamere e i cronisti che circondano Bolt e lo festeggiano per il suo addio, con tutto lo stadio ad applaudire, dimenticando in un angolo il vincitore della medaglia d’oro.

I diecimila metri maschili sono stati vinti dall’idolo di casa Mohammed Farah, un esule somalo che, se da bambino si fosse rifugiato in Italia – come fanno tanti suoi connazionali – anziché in Gran Bretagna, a quest’ora sarebbe in galera o a pulire vetri al semaforo. Gli inglesi, invece, gli hanno conferito la cittadinanza e gli hanno concesso di fare ciò che più gli piaceva: correre in pista le distanze di fondo e mezzofondo.

Ora Farah ha vinto, con la Union Jack, sei medaglie d’oro ai “mondiali”, cinque agli “europei” e quattro alle Olimpiadi. Noi invece – come diceva quella vecchia signora inglese interpretata da Montesano – siamo e resteremo “molto pittoreschi”.

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