Italia: tesori abitativi in abbandono

italia abbandono

Due milioni, secondo dati di Assoedilizia, sono gli immobili abbandonati nel nostro paese. Una cifra da capogiro: chi tra noi non ha notato, viaggiando, una serie di edifici in totale stato di fatiscenza? Si tratta di casali, chiese, scuole, manicomi, orfanatrofi, fattorie, distributori di benzina, fabbriche, rocche, castelli, case cantoniere, teatri, alberghi ma anche prestigiose ville, conventi, acquedotti e persino grotte, situati per ogni dove dello stivale, dal centro delle città sino al posto più impervio in montagna.

In questo articolo non vogliamo parlare di paesi fantasma, cioè interamente abbandonati da secoli, di cui ci siamo occupati con i nostri servizi passati, come Canale Monterano, Santa Maria di Galeria, Rocca Calascio e tanti altri sparsi nella penisola. Vogliamo soffermarci su centinaia di migliaia di stabili in rovina, di proprietà privata o pubblica che sono stati letteralmente “dimenticati” e abbandonati al degrado più completo.

Un fenomeno molto diffuso è quello di edifici agricoli abbandonati, forse anche a causa del gravoso peso dell’Imu.

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In alcuni casi il recupero sarebbe essere possibile, quando le lesioni non sono tali da rendere difficile il ripristino, anche se a prezzo di notevolissime spese edilizie.Alcune di queste unità sono ubicate in posti di interesse naturalistico, o in prossimità del mare o di luoghi ambiti (come un albergo a Campo Catino) o, incredibilmente, in quartieri residenziali (come a Roma in via Cortina d’Ampezzo).

Perché sono abbandonati? Le ragioni sono le più svariate. A volte si tratta di beni il cui proprietario è morto e non ha lasciato eredi. Altre volte si tratta di liti tra eredi. In alcuni casi i proprietari sono enti pubblici, ecclesiastici o fondazioni che non ritengono conveniente un recupero edilizio o che, addirittura, non sanno nemmeno di essere proprietari.

Nessuna regione si salva da questo sperpero biasimevole di tesori edilizi. E questo immenso patrimonio immobiliare, lasciato deperire per incuria o perché non più funzionale, molto spesso ha un valore architettonico o culturale notevolissimo, come elaborato anche da Italia Nostra.

Il Ministero dei Beni Culturali o i vari assessorati degli enti locali dovrebbero avviare un’opera di mappatura, individuazione, classificazione dei beni abbandonati, ricavando una lista di quelli recuperabili; oppure, invece di abbandonarli al loro destino, potrebbero essere espropriati se il proprietario non è rintracciabile o non è in grado di assumersi il gravoso compito del restauro e si potrebbe affidare il recupero a terzi.

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Sarebbe meritevole affidare la gestione di una parte di questi immobili ad associazioni, fondazioni, enti no-profit, culturali. Oppure recuperarli e darli in uso abitativo a persone povere o a famiglie di rifugiati o di profughi da paesi in guerra o estremamente bisognosi, stilando una graduatoria dei soggetti in questione.

E’ paradossale avere almeno 800.000 vani recuperabili in un Paese che soffre ancora per l’emergenza abitativa e che conta 50.000 senza tetto o senza fissa dimora mentre più del 25% della popolazione vive in appartamenti sovraffollati. In una situazione simile è urgente valutare quanti di questi edifici siano in buone condizioni e quanti vadano invece smantellati: i primi possono essere riconvertiti in strutture abitative senza aggravare il consumo di suolo, mentre ville e palazzine di pregio potrebbero ospitare musei e luoghi di pubblica utilità.

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Alcuni di questi stabili potrebbero tornare alla loro vocazione iniziale, come cinema o teatri. D’ altronde lasciare immobili abbandonati crea altri problemi: alcuni di essi sono divenuti luoghi di spaccio, di prostituzione o sono stati occupati abusivamente anche a rischio degli occupanti stessi, che si trovano ad abitare locali in rovina e privi di norme di sicurezza.

Va anche considerato che tanti edifici pericolanti e degradati mettono a rischio i palazzi vicini; ed ecco le iniziative di alcuni comuni di vendere le case ad un euro o la scelta dell’Arsial (ente regionale agricolo) che ha preferito dare degli immobili ad associazioni culturali richiedendo il pagamento delle sole tasse di proprietà (oneri modali).


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