Il viaggio della frisella

frisella

Chi non ha mai assaggiato una frisella? 

Il nome richiama  il verbo latino frendere che sta per macinare, sminuzzare, la forma è quella di un tarallo tagliato a metà, la consistenza è di un biscotto, frutto della sua doppia cottura, il gusto del pane perché in effetti è fatta con farina di grano duro, con farina di orzo o con una miscela di grano duro e grano tenero.

Per consumarla è necessario bagnarla, «sponzarla» come si dice al Sud: non troppo poco perché si ammorbidisca, né troppo perché non si sfaldi.

E una volta bagnata la si può condire come la si vuole anche se dà il meglio di sé in estate, per un antipasto o uno spuntino, con pomodoro, basilico, acciughe o cipolla e l’immancabile olio extravergine d’oliva, quello buono, anche se, come la pizza, può essere farcita come la si vuole.

Una pietanza modesta che però, come spesso capita, ha una lunga storia alle spalle, una storia addirittura millenaria

Andiamo con l’immaginazione a quel periodo, a tratti oscuro, che va  tra l’XI e il XIII secolo e oltre: migliaia di uomini, più di 40.000, rispondono all’appello di Papa Urbano II per la liberazione della Terra Santa dal giogo dei musulmani e al grido Deus lo vult! («Dio lo vuole!»).

Sono le Crociate, forse uno degli eventi più controversi dei burrascosi rapporti tra Occidente e vicino Oriente.

Lentamente una massa crescente di persone inizia ad ammassarsi nei pressi di Brindisi in attesa di trovare un imbarco: tutte queste persone vanno sfamate, ed a questo provvedono i venditori ambulanti, ed approvvigionate di cibo per il lunghissimo viaggio.

Già, ma quale cibo? 

Qualcosa che duri nel tempo, che sia nutriente, ma facile da trasportare, che non abbia bisogno di essere cucinata.

«Che cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione» direbbe il Perozzi.

Ecco allora che dal genio dei fornai locali riemerge il pane dei Fenici, i mitici commercianti e navigatori dell’antichità, che prima di partire riempivano le loro navi di quel pane biscottato per averlo sempre a portata di mano e, all’occorrenza, bagnarlo addirittura con acqua di mare.

L’esigenza del buco al centro

Non conosciamo la forma del pane fenicio, ma delle friselle (note anche come freselle o frise) sì e non sfugge al nostro sguardo quel buco al centro che certo ha la sua importanza durante la cottura, ma che casualmente risponde anche ad un’esigenza pratica.

Carichi letteralmente come somari i pellegrini armati, soprattutto i meno abbienti che partivano a piedi senza un seguito attirati dalla possibilità di tornare carichi di ricchezze, non avrebbero saputo proprio dove stivare le friselle e quel buco sembrava fatto apposta per farci passare una cordicella e appenderle al bagaglio o addirittura al collo.

E così le friselle, portate dai Fenici, fecero il viaggio di ritorno per approdare sulle coste del Libano e la loro invenzione, che poi sarebbe una riscoperta, suscita l’orgoglio dei salentini che ne hanno scoperto nel tempo altri utilizzi più pacifici: da pane dei crociati diventerà, per arrivare sino ai giorni nostri, il  pane dei pescatori.

Sulla sponda tirrenica le frieselle, sempre quelle dei Fenici, ebbero più o meno la stessa diffusione, anche nella versione senza buco, ma non partirono per la Terra Santa.

E rimasero per deliziare le calde estati al mare, «sponzate» ovviamente.

Fonte foto: ilgiornaledelcibo.it

1 risposta

  1. Il dono di Atena - InLibertà

    […] come gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, gustosi intermezzi come le bruschette o le freselle, la stessa pizza, per tacere dell’enorme ricchezza delle nostre salse di condimento, non […]

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