Il mare non conosce leggi

Dal 1 gennaio 2020 ad oggi sono stati registrati 258 decessi di migranti nel mar Mediterraneo (dati aggiornati al 17/05/2020). I dati sono forniti da Missing Migrants Project, database dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, che tiene traccia delle morti e degli scomparsi lungo le rotte migratorie; si tratta di stime minime, poiché non tutti i naufraghi possono essere conteggiati.

Nel pieno della pandemia, i migranti non fanno clamore né soddisfano il piacere dei lettori. Non si parla di persone che scappano dalla guerra, bensì di braccianti e pedine per i nostri campi. Non se ne parla più, eppure il Mediterraneo continua a ingoiare vite e, per i più fortunati, a spingerle verso le nostre coste, con la grande differenza che i mezzi civili di soccorso sono quasi tutti fermi e i porti italiani chiusi. Con il decreto interministeriale del 7 aprile 2020, l’Italia ha chiuso i suoi porti alle navi che soccorrono i migranti poiché non in grado di assicurare i requisiti necessari di Place of Safety (“luogo sicuro”) – scelta che non può essere giustificata dall’emergenza Covid – sostiene Amnesty International. L’impedimento riguarda solo le unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana, per l’intero periodo di durata dell’emergenza nazionale.

Con un post su facebook, Angela Caponnetto, giornalista di Rai News24, informa che il 16 maggio, 68 persone – di cui 26 donne e 2 bambini – sono sbarcate da sole a Lampedusa, a bordo di un peschereccio; un’altra imbarcazione in legno era stata avvistata nella mattinata, con circa 100 persone a bordo senza salvagente, in viaggio dalla Libia verso nord.

Da angeli a scafisti

Salvamenti Live è un appuntamento social in diretta, creato per ospitare autori e giornalisti che si sono occupati di salvataggio in mare e migrazioni. Nell’ultimo appuntamento, SOS Mediterranee Italia ha incontrato Annalisa Camilli, autrice di “La legge del mare” e giornalista di “Internazionale”. Dal 2014 Annalisa segue i migranti in viaggio per e attraverso l’Europa, raccontando le loro storie. Ad intervistarla, Nello Scavo, dal 2001 giornalista di “Avvenire” e reporter internazionale.

A prescindere da quelle che possono essere le posizioni in merito al dibattito sull’immigrazione e l’accoglienza, è indiscutibile il repentino mutamento avvenuto negli ultimi anni da parte dell’opinione pubblica, in considerazione di quella che è la figura delle navi soccorritrici e del loro operato. Le squadre di soccorso, fino a poco prima considerate eroi del mare, diventano improvvisamente sinonimo di scafisti. 

“La legge del mare” è il frutto di reportage e testimonianze, che presenta preziosi spaccati di quello che effettivamente è il lavoro dei soccorritori in mare e della fuga di chi lascia la propria terra per ritrovarsi, spesso, in balia delle onde. Da privilegiata testimone e cronista, Annalisa Camilli intende offrire una ricostruzione accurata del fenomeno alla luce delle compagini politiche susseguitesi negli ultimi anni.

Una cronaca per quelli che verranno

Il libro nasce per spiegare e raccontare, per lasciare qualcosa a chi verrà. Allo stesso tempo le cronache dei soccorsi sono una risposta fisiologica a quanto vissuto dalla giornalista come testimone a bordo. L’intento è rimettere in una prospettiva storica i silenzi, l’indifferenza e la disumanità che la questione migratoria ha vissuto e sperimentato recentemente, “in particolare nell’estate di Carola Rachete e della Sea Watch – spiega Annalisa – era incomprensibile quella ferocia, senza ripercorrerne le tappe”.

“Soccorrere è un obbligo, omettere di soccorre è un reato; la vita in mare va soccorsa, le politiche migratorie subentrano successivamente”. É questo il punto fermo dell’autrice, che spiega in maniera molto umana e lineare, ancor prima che accademica, come la gestione dei flussi migratori non possa coincidere con l’arbitrarietà di un soccorso mirato invece a salvare vite. Perché mentre “pochi”, al sicuro, disquisiscono sulle manovre da farsi, troppi, nell’intanto, rischiano di soffocare in acqua. È accaduto, continua ad accadere.

“Approfittare dell’allarme di emergenza sanitaria, giusto da parte della nazione e della popolazione – spiega la giornalista – per rafforzare tuttavia un messaggio che va contro la nostra cultura giuridica, mi preoccupa molto. Per tanti anni abbiamo chiamato ‘eroi’ gli ufficiali della nostra marina proprio perché soccorrevano e salvavano vite. Oggi quegli eroi sono fermi in porto; mandiamo traghetti privati a recuperare persone dalle navi delle organizzazioni non governative e lasciamo i migranti fermi a bordo, nonostante i tamponi negativi”.

De-umanizzazione e manipolazione

Annalisa Camilli ripercorre il processo di imbarbarimento che ha trovato terreno fertile sia a livello nazionale che europeo; lo fa analizzando anzitutto la convergenza di interessi e bisogni in un momento di forte crisi politica ed economica. “Non ci siamo imbarbariti in un colpo solo – afferma – non si è arrivati alla chiusura dei porti italiani con un solo decreto; è una storia molto lunga, che trova la responsabilità di molti attori istituzionali e non istituzionali, a varie latitudini”. Non si tratta solo di migranti tuttavia, non sono meri dibattiti politici; anche “gli insulti sessisti rivolti a Carola Rachete sono il frutto di un processo durato anni, avvenuto soprattutto online, a tappe; la politica europea è stata molto abile nel trasformare il soccorso in mare in un mero dibattito sulla gestione della migrazione; è diventato un dibattito sulla possibilità di lasciar morire, pertanto accettare che le persone muoiano”.

La giornalista contestualmente ci ricorda come l’accusa rivolta alle ONG – poi smentita da decine di studi scientifici – di essere un pull factor, fattore di attrazione per i flussi migratori, fu dapprima opera della stessa Agenzia Europea per il controllo delle frontiere (Frontex), non di semplici gruppi identitari o neofascisti. In questo senso, l’autrice intende sottolineare la convergenza di interessi maturati a livello europeo e volti a rimettere in atto quella che purtroppo sembra essere l’unica politica dell’Unione in merito all’immigrazione: esternalizzazione delle frontiere e costruzione di muri sempre più alti, anche laddove questi non possono essere costruiti, come nel caso del Mediterraneo.

Quando l’emergenza finirà

É chiaro ormai da tempo che quella che erroneamente continuiamo a chiamare “crisi dei rifugiati” è in realtà un’incapacità europea di gestione e accoglienza. “La crisi dei rifugiati è stata una cartina di tornasole dell’intero sistema istituzionale e politico europeo. Come spesso accade nei disastri, io credo che anche in questo caso si sia trattato di eventi congiunti, di corresponsabilità per niente orchestrate. Non c’è stata una regia, bensì una serie di interessi che sono stati lasciati agire in maniera indisturbata, perché così conveniva in quella fase. Nel contempo sono state mobilitate parole profonde, come quelle di invasione o sostituzione etnica, che in un momento di cristi politica hanno fatto particolare presa, soprattutto in quei paesi che non si sono ancora ripresi dalla crisi economica”.

Aldilà dell’orientamento ideologico, le politiche sono cariche di un portato e di un tessuto culturale che lasciano un segno; indubbiamente quelle degli ultimi hanno contribuito a marcare “il segno della discriminazione, di chi non nasce in un paese del primo mondo” (Annalisa Camilli). Su questo bisognerà presto ed inevitabilmente tornare ad interrogarsi.

Se un’Europa più coesa e ciò di cui abbiamo estremo bisogno, la passività e l’indifferenza sono il cancro da cui, anche come individui, dobbiamo ben guardarci. Il marcio della questione migratoria non è nuovo ma ha il più delle volte trovato sede di dibattito esclusivamente in tavoli da ping-pong, “risolvendosi” in una dinamica pro o contro gli sbarchi. Una distruttiva dialettica che vede da una parte i cosiddetti buonisti, incapaci tuttavia di offrire alternative valide e sostenibili; dall’altra quella del “prima gli italiani”, della sicurezza interna, che porta però alla perdita di vite in mare e ad una guerra tra poveri.

Fonte foto: ilmessaggero.it

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