Il lavoro che se ne va e difficilmente tornerà

Non è facile vedere “nuove opportunità” in un mondo condizionato dall’intelligenza artificiale e dalla robotica

Il problema del lavoro, che da qualche tempo ci riempie d’angoscia, può essere considerato da diverse prospettive, secondo le nostre attese. Se il problema incombe su di noi o sulla nostra famiglia (la nostra azienda ha annunciato la chiusura? I nostri figli sono alla fine dei loro studi?) cerchiamo risposte immediate, possibilmente nell’area di residenza e siamo poco interessati a saperne di più sulle tendenze di lungo termine o sulle opportunità  in un’altra parte d’Italia o in un altro Paese.

Eppure ci sono linee di tendenza che hanno riscontro in tutto il pianeta, lavori che cessano di esistere in pochi anni ed altri ricercatissimi che ieri neppure esistevano.

Insomma, come sarà il domani nessuno lo sa con certezza ma provare a saperne un po’ di più di certo non fa male e può costituire un’opportunità anche per noi e per i nostri figli.

Assodato che la mancanza di lavoro diventa sempre più preoccupante, possiamo chiederci in primo luogo da che cosa questo derivi, se prima o poi ci sarà davvero quella “ripresa” di cui si sente tanto parlare, e se questa porterà lavoro, di che genere e in quali Paesi. Purtroppo non sembra affatto che le cose possano evolvere positivamente in quel senso. 

Molti fattori congiurano per renderci la vita difficile. Esanimiamoli:
la globalizzazione: in un sistema liberale e capitalistico come il nostro niente può impedire a un imprenditore di produrre dove i costi di produzione/di manodopera sono più bassi (in quarant’anni la Cina è diventata “la fabbrica del mondo”) 

– la sovrappopolazione: il pianeta Terra sta per raggiungere  gli 8 miliardi di abitanti (eravamo solo 2 miliardi non molti anni fa, nel 1930) e cresciamo al ritmo di 80 milioni l’anno. Tutta gente che, a buon diritto, vorrebbe lavorare e consumare almeno quanto basta per sopravvivere.  

il consumo delle risorse: 8 miliardi di umani consumano ogni anno risorse non tutte rinnovabili, o non in misura corrispondente ai nostri bisogni. L’indice cosiddetto “hearth overshoot day” esprime ogni anno il giorno in cui esauriamo le risorse che il pianeta produce in 365 giorni e dopo il quale dobbiamo quindi  “consumare il pianeta”  (nel 2018 quel giorno è caduto l’1 agosto). La questione è spinosa perché il lavoro si fonda, in un modo o nell’altro, inevitabilmente sulle risorse disponibili.

il progresso tecnologico: il progresso è stato all’origine di tutte le grandi crisi del lavoro, a partire dall’aratro pesante, il motore a scoppio, l’elettricità. Le rivoluzioni industriali hanno sempre cancellato posti di lavoro ma anche creato le condizioni perché si aprissero nuove opportunità. Sarà ancora così in un mondo di servizi al culmine della quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo?
– L’intelligenza artificiale e la robotica: a livello mondiale, al netto di occasionali quanto brevi riprese dell’economia o di eccezioni non significative a livello locale, la necessità di lavoro umano continua a diminuire creando disoccupazione per una quota della popolazione che è difficile oggi da calcolare ma certamente tale da non poter essere facilmente sopportata dal nostro sistema economico e sociale.

Questo è un punto cruciale, perché non è facile vedere “nuove opportunità” in un mondo condizionato dall’intelligenza artificiale e dalla robotica. Quando rifiutiamo di credere di poter essere sostituiti dalla tecnologia (automobili che si guidano da sole? Che sciocchezza!), ignoriamo i rapporti che ci provengono da  tutte le più qualificate organizzazioni/istituzioni di tutto il mondo: ONU, Millennium Project, OCSE, ILO (Organizz. Internaz. del Lavoro),  WESO (World Employment Social Outlook), tutte le Università più prestigiose (MIT, Harvard e Oxford University con ottime pubblicazioni), centri di ricerca, società di consulenza (McKinsey, Boston Consulting Group). 

Sono state analizzate fino a 700 “famiglie occupazionali” corrispondenti a molte migliaia di mestieri diversi. L’intelligenza artificiale non lascia spazio nemmeno alle professioni considerate più difficili e delicate, come ci fanno pensare le prospettive aperte da Watson (IBM) in medicina. Sembra difficile da credere ma qualunque astrusa professione ci venga in mente come impossibile da affidare a un “non umano” scopriamo che è già stata analizzata per renderla compatibile con l’intelligenza artificiale e qualcuno ci sta già lavorando.

Sulla base di quanto precede si può capire come sia difficile immaginare un futuro allineato al mondo che oggi conosciamo. Ma che male c’è? Non basterebbe lavorare tutti un po’ meno e concedere agli esclusi un reddito di sostentamento?  In fondo se qualcuno (sia pure un robot) lavora al posto nostro di cos’altro abbiamo bisogno? Non è così semplice.  

Già oggi la disuguaglianza ha raggiunto livelli difficili persino da concepire.  I 10 uomini più ricchi del mondo guadagnano quanto un miliardo e mezzo dei più poveri, mentre secondo un’altra ricerca i 67 più ricchi hanno proprietà corrispondenti alla metà di tutte le ricchezze del mondo. In questo contesto come ci immaginiamo la nostra società nel  2050 o – se preferite non esserci – nel 2100? Perché  che il lavoro sia destinato a venire a mancare è certo, anche se ci saranno temporanee differenze tra un Paese e l’altro, e governi e mass media esalteranno (come stanno già facendo) occasionali periodi in controtendenza.  

Popolazione in aumento, disuguaglianza alle stelle, risorse della Terra (tutte le risorse, comprese energia, acqua, aria, cibo, clima, ambiente ecc.)  gravemente compromesse. In questo contesto di massima turbolenza che tutti hanno previsto ma senza tirarne le conseguenze e del cui affermarsi siamo già tutti testimoni  (recessione, disoccupazione,  migrazioni ancora contenute ecc.) l’unica cosa con cui ci misuriamo oggi è il denaro, una nostra invenzione ormai del tutto scollegata dalla realtà. Fantastico. Non abbiamo ancora capito  che la finanza mondiale (dopo la bella trovata dei derivati) vale molte volte il PIL di tutti i Paesi del mondo?  Quante volte? Non ci crederete: 33 volte (Sole 24 Ore dicembre 2018)

Prima di concludere che il denaro non vale neanche la fatica di stamparlo consiglieremmo di stare calmi.  La crisi alla quale sembriamo andare incontro è globale, planetaria, non si riferisce alla nostra provincia, all’Italia,  nemmeno all’Europa.  Se si risolve, si risolve insieme. Qui però abbiamo messo in discussione un elemento costituente della nostra civiltà da quando siamo apparsi sulla Terrra: il lavoro è ancorato al reddito, al prestigio sociale, al potere e alla ricchezza per noi e per i nostri discendenti. Di fronte a una crisi la reazione più facile per un Paese che “sta un po’ meglio” è chiudersi. Muri, frontiere, e che gli altri si arrangino.  Non proprio una soluzione misericordiosa né soprattutto priva di pericoli. E a livello individuale?  Come reagiranno ad una crisi Bezos, Gates, Buffet, Zuckerberg  (4 dei 10 citati sopra)? 

Risolvere “insieme” il problema della sopravvivenza della razza umana è compatibile con gli interessi degli Stati sovrani e dei loro politicanti, e individualmente con l’impegno necessario (con quale contropartita?) a dare il proprio contributo all’umanità? Le soluzioni esistono, benché difficili, anche per  casi di questa complessità. Quanto al lavoro, teniamoci caro il nostro campicello, non trascuriamo le nuove tecnologie, cerchiamo di informarci bene sulla natura dei problemi, sosteniamo chi pretende il rispetto dell’ambiente. E incrociamo le dita, magari funziona!

di Gin Martinez, Gruppo Simposio

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