Il gruppo della settimana: R come Rolling Stones

b98ecf0b-8336-4778-a60e-1168362709eaDa sempre si dice che chi ha amato [e ama] i Beatles non può apprezzare i Rolling Stones. Da sempre mi chiedo perché.

Certo, è indubbio che non riesco ad apprezzare la musica degli Stones come quella dei fab four, ma da qui a dire che io li detesti o che non mi piaccia affatto la loro produzione, ce ne corre. In altre parole: sono Beatlesiano, ma riconosco almeno come interessanti i brani di maggior successo dei Rolling Stones.

E’ il 1964 quando l’esordio degli Stones piomba sulla scena britannica come una tempesta spazzatutto. Il loro primo lavoro è costituito da covers di musica nera americana; covers aggressive, sporche e senza compromessi. Mick Jagger, Keith Richards, Brian Jones, Bill Wyman e Charlie Watts approcciano questi brani con sfrontatezza ed in maniera quasi oltraggiosa. Le cover dei primi anni toccano brani come “Everybody needs somebody”, “You can’t catch me”, “Time is on my side”.

Fin da subito, ogni loro lavoro, si traduce in primato nelle hit parade. E questa sembra la regola vincente, album dopo album: covers (sicuramente belle) su covers. Ma poi qualcosa succede e tutte queste re-interpretazioni, improvvisamente, sembrano non far più notizia.

“Out of our heads” è il disco che contiene il più grande successo degli Stones: “Satisfaction”.

Il resto passa praticamente inosservato e forse è un peccato, perché brani come “Heart of stone” avrebbero meritato ben altra considerazione. “Aftermath” è il primo LP interamente scritto dalla coppia Jagger / Richards e coincide con il primo atto dell’evoluzione del complesso. Qualche influenza psichedelica, una copertina che ha fatto storia e belle canzoni: “Lady Jane”, “Under my thumb”, “Out of time”. Ci sono poi gli 11 minuti di “Going home”: secondo me superflui ed estenuanti, ma sicuramente d’effetto.

Ma gli Stones soffrono il confronto ed il successo dei Beatles. Prova ne è il tentativo di voler limare le asprezze dei primi lavori in “Between the buttons” per cercare di emulare la svolta psichedelica dei Beatles. Il risultato è meno aggressività con canzoni <<normali>> e poco degne di nota. Ulteriore conferma è “Their satanic majesties request”, stravaganza psichedelica, pura emulazione con canzoni ben presto dimenticate.

Si tratta di un lavoro criticato, sottovalutato, ridicolizzato e celebre per la sola copertina tridimensionale che cerca di fare il verso a Sgt. Pepper dei fab four. Ma quando gli Stones pensano esclusivamente a loro stessi (senza cercare il confronto con i Beatles) riescono a produrre LP davvero interessanti.

1ROLLING-600full-beggars-banquet-coverSecondo me “Beggar’s banquet” è uno dei più riusciti. Siamo nel ’68 e questo disco segna l’inizio di un ventennio davvero niente male. Ricompare l’approccio sporco e aggressivo e per la prima volta si nota una sensibilità artistica sicuramente apprezzata.

La ballata infernale “Symphathy for the devil” che da il via al disco, è davvero un ottimo biglietto da visita. Forse i migliori Stones sono questi: una band abile a sfruttare a proprio vantaggio i guai con la legge, la droga ed in grado di proporre rock travolgente e sovversivo (“Street fighting man”), ma anche blues (“Parachute woman”) e ottime ballate (“No expectations”). Eppure i guai non mancano (dicevo prima) e a metà del 1969 Brian Jones viene trovato morto nella piscina di casa sua.

Ciononostante gli Stones cercano continuità e la trovano. “Let it bleed” piace! E al proprio interno ci sono brani sicuramente da menzionare come “You got the silver”, la stessa “Let it bleed”, la rilettura di “Love in vain” e “You can’t always get what you want”.

Accenni ovunque alle droghe che scorrevano a fiumi tra le mani (e non solo) degli Stones e “Sticky fingers” del ’71 è un disco impregnato di umori stupefacenti e di ogni tipo di sostanza tossica. Ricordato per la famosa chiusura lampo in copertina (opera di Andy Warhol), annovera “Brown sugar” (nome di un tipo di eroina), “Sister morphine” (tanto per cambiare…), e la bella “Wild horses”.

121110-rollingstones-31-rect-1352690542Il doppio LP “Exile on main street” è un’opera alquanto contrastata. E’ blues, country e rock. Non mi convince del tutto, ma è un’opera ambiziosa. Se non altro perché è forse l’ultimo lavoro prima di un delirio commerciale che li colpisce a partire dalla produzione successiva.

“Goat’s head soup” infatti, è da parte della band l’autostrada verso un pop commerciale dove, a parte la ballata “Angie”, non c’è nulla da ricordare. “It’s only rock’n’roll” (LP del ’74) sembra quasi una dichiarazione d’intenti: un’opera di convincimento.

In realtà c’è un po’ più di grinta, ma la storia è stata fatta.

Nel loro ancora immenso futuro c’è stato poi funky & reggae (“Fool to cry”, “Hot stuff”), album dal vivo (“Love you live”), dance (“Miss you”) e ancora compilations (“Tattoo you”) dove “Start me up” trascina il lato rock, come a voler dire <<abbiamo fatto tutto>>.

Tra gli ’80 e i ’90 Jagger e Richards, è evidente, non hanno più nulla da dire, ma questo è tutto tranne che un problema. Sfornano LP a ripetizione: “Undercover” (davvero un passo falso), “Dirty works” (tentativo di ritornare dal pop al rock), “Steel wheels” (da qui un nuovo tour mondiale da sold out), “Voodoo lounge” (finalmente un lavoro migliore che riporta almeno in parte agli esordi e al periodo migliore). Poi ancora “Bridges to Babylon” (evidente forzatura rock di cui non avrebbero avuto affatto bisogno).

Senza dimenticare di citare (anche in questo caso se mai ce ne fosse stato bisogno) live su live e compilations di cose già viste e sentite…

Una cosa comunque è certa: se nel 2005 producevano ancora LP inediti (“A bigger band”) e se meno di 2 anni fa (il 22 giugno del 2014) si esibivano in concerto al Circo Massimo di Roma davanti a 70.000 persone, l’aver venduto l’anima al diavolo, ha concesso loro di acquistare l’eterna giovinezza.

di Riccardo Fiori

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.