Un doppio ciclone si è abbattuto sul mondiale di Formula1 questo weekend. Quello che ha imperversato il cielo sopra Sepang e quello che ha fatto palpitare i cuori dei tifosi di Maranello. Ha quasi dell’incredibile raccontandolo, ma Fernando Alonso ha vinto il gran premio della Malesia. Ci eravamo lasciati tra pianti e perplessità solo una settimana fa, quando in Australia le nuvole sopra la Ferrari erano dense e cariche di sciagure almeno quanto quelle nel cielo di Kuala Lumpur.
Il caldo australe era stato un insormontabile nemico della rossa, ma parlare di fattori ambientali sembrava poco più di una pessima scusa per coprire un’inadeguatezza che sembrava (sembra) dover seguire il cavallino per il terzo anno filato. La gara di ieri ha avuto del miracoloso e non è affatto difficile evitare qualsivoglia discorso tecnico, stravolto da sfortune, o fortune, ed eroiche tattiche/operazioni dei box. Il weekend inizia male e si capisce che il cielo può essere l’unico alleato di una scuderia poco meno che allo sbando.
Le qualifiche rimarcano ancora una volta le salde gerarchie in casa Ferrari, tra un Nando guerriero stoico e disperato, e un Felipe sempre più anello debole di un meccanismo già di per sé in declino. Il via della corsa è dato “bagnato”, tanto che pochi giri bastano a tramutare il nastro di asfalto nel più singolare fiume asiatico che si possa immaginare. Prima la Safety Car, poi l’inevitabile Red Flag. In casa rossa iniziano i ghigni, confidando più nelle possibili sciagure altrui che sulle reali possibilità proprie. Si riparte dopo cinquantuno minuti e le pagaie lasciano appena spazio agli sci d’acqua.
La pista malese, come sempre, cambia aspetto in pochissimi istanti cosi che a spuntarla è quasi sempre il gioco d’azzardo. Cambi gomme anticipati, rischiati ed azzeccati. È un continuo copiarsi tattiche e strategie. L’ordine della scacchiera resta costantemente appeso a un filo e una volta tanto il box di Maranello appare impeccabile. Non è dello stesso livello quello McLaren, il cui errore relega il solito imbizzarrito Hamilton alle spalle di un fomentato Alonso.
L’asfalto continua a cambiare e gli errori di guida si fanno copiosi: Button si autoelimina tamponando Karthikeyan; stessa sorte per Vettel che fora una gomma sempre superando l’indiano; Webber è anonimo e le Mercedes pagherebbero per trovare punti in qualifica, dove le gomme riescono a reggere almeno dieci minuti senza bollire. Nel caos più totale spunta uno che nel folklore e nella siesta ci sguazza da buon messicano qual è: Sergio Perez.
Con la sua Sauber dapprima cavalca le onda anomale, poi solca i sette mari di Sindbad ma, con la bassa marea, finisce per arenarsi sullo scoglio rosso che tenta faticosamente di raggiungere, sbagliando nel posto sbagliato al momento sbagliato. A due giri dal termine, gli ricordano dal box che i venti punti del secondo posto sarebbero vitali per la scuderia, senza precisare di quale team si parli e se siano altrettanto vitali quelli da lasciare al team che alla Sauber fornisce i propulsori, la Ferrari appunto.
Non c’è più tempo e spazio per altre sorprese. Vince Alonso, davanti a Perez e Hamilton. I primi due felici come una Pasqua, l’altro incredulo davanti al trionfo di tanta mediocrità. Ebbene si, ha vinto la Ferrari. Ma dovrà pur smettere di piovere e allora il santo di Oviedo dovrà cercare qualche altro miracolo a cui aggrapparsi.
Daniele Conti
foto: sportinglife.com
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