Gestire le migrazioni si può? No, si deve

I fatti, come ben sappiamo e gli avvenimenti che avvengono nel mondo ormai si rincorrono velocemente senza soluzione di continuità. Ogni giorno c’è un’emergenza e quelle che una volta venivano liquidate come “questioni estere” che riguardavano un altro paese o un altro continente ed  erano per noi, piccolo stato in mezzo al mare solo echi lontani, oggi invece, in un mondo globalizzato e nel villaggio comune che è la Terra, ciò che succede a Los Angeles, a Voghera o ad Aiax en Provence avviene nel tinello di  casa nostra, portato dalla tv, da internet e dagli altri strumenti di comunicazione  immediata. 

E tutto diventa emergenza. Tutto diventa “fatti”, ansie e preoccupazioni che vanno affrontate e sperabilmente risolte. Se va assegnato un merito a questa condivisione tecnologica, è quello di aver reso chiaro che  Brisbane nel lontano Queensland australiano non è affatto distante da Canicattì nella Sicilia sudoccidentale e che la corrente calda del Golfo messicano determinerà con i suoi movimenti la quantità di pioggia che cadrà a Canosa di Puglia o la siccità nell’ultimo paesino dell’entroterra del Marocco. 

Così come, per passare all’attualità, se un barcone con cento emigranti arriverà nel Mediterraneo, le ripercussioni si sentiranno certo in Italia e a Malta, ma anche a Berlino, a Vienna e a Budapest. Questo per dire che tutto si tiene insieme, tutto è legato da un unico filo e un unico destino che si tratti di uomini o natura. 

L’emigrazione africana ad esempio, ma anche quella messicana, filippina o coreana non è un affare “locale” che riguarda un solo paese, quello magari più prossimo alla spiaggia di partenza o un solo continente, ma l’intero pianeta; giacché quei migranti prima o poi, alla ricerca di uno straccio di vita decente, continueranno a muoversi da una parte all’altra, da un luogo all’altro fino ad arrivare nel posto che riterranno un approdo sicuro e definitivo. E come la corrente calda determineranno sconquassi o benefici. 

Per ora ci dicono solo sconquassi ma nei secoli passati sono stati invece più i benefici, che hanno permesso la costruzione politica e geografica delle società umane e degli stati. Cosa sarebbe l’America senza i galeotti inglesi dell’ottocento, gli immigrati tedeschi e greci, gli italiani del ‘900, gli esuli russi, i giapponesi  e i lavoratori cinesi? E l’Australia? Forse assomiglierebbe ancora a un paese desertico abitato da pochi aborigeni e molti serpenti, così come il Brasile senza i portoghesi e l’Argentina senza di noi. Ma anche l’Italia, senza le invasioni subite e le contaminazioni assorbite non sarebbe il gioiello che è ed è stato nei secoli. 

Siamo quindi una nazione meticcia e se sì ci abbiamo guadagnato o perso? 

Non lo sappiamo, ma è così che va il mondo e non si può fermare il vento facendo le barricate con la sabbia. Paradossalmente conviene farlo spirare libero, fargli trovare la sua strada, al limite  incanalarlo, agevolargli il  percorso per renderlo innocuo e… “sfruttarlo” a nostro vantaggio. Capendo i suoi tempi, i suoi ritmi, i suoi bisogni e usufruendo dei suoi benefici. Che ci sono sempre, anche quando non si vedono. 

Voi direte: “si va beh, ti pare facile…” No, per nulla, ma bisognerebbe almeno provarci a cambiare passo dato che le cose così non sembrano funzionare. Saremo romantici ma: di quanti contadini, meccanici, pastori, muratori, falegnami abbisogna quest’Europa invecchiata e inacidita? 

Quante aziende potrebbero formarsi, quanti giovani potrebbero prendersi cura dei tanti anziani e quante intelligenze non ancora imbastardite dall’elettronica girano per il pianeta  che noi potremmo istruire, quanti geni potremmo intercettare, quanti contributi servono per pagare le nostre pensioni? 

Quante poesie si potrebbero scrivere parlando dei tramonti africani e quanti libri d’avventure e documentari si potrebbero realizzare guidati da quei ragazzi che potrebbero andare e tornare, uscire ed entrare pagando biglietti navali e passaggi aerei? 

Ce lo siamo mai domandato fino in fondo e se no perché? Perché è faticoso, perché è difficile, perché è rischioso, pauroso? Perché nell’immediato non conviene? 

Certo, per tutte queste ragioni, ma è inevitabile farlo imparando a gestire, regolare e razionalizzare a livello europeo e con uno sguardo planetario, con meno egoismi e più visione strategica i flussi migratori che difficilmente si fermeremo  con un muro o bloccando  un barcone stracarico di disperati, anche se qualche volta, nel gioco della politica può servire per fare pressione e produce qualche risultato immediato come sta dimostrando la strategia del  Ministro Salvini con la sua” linea della fermezza”.  

Risultati momentanei però, perché i desideri umani, la voglia di libertà e di benessere sono potenti come la natura e spirano forte come quel vento, quelle maree e come quelle correnti che girano e rigirano facendo sempre lo stesso percorso senza fermarsi mai. Come la primavera che continuerà a tornare, l’amore a sbocciare  e gli uomini  a partire. 

E anche se alcuni affonderanno ne arriveranno altri e poi altri ancora e noi fra venti o trent’anni  staremo stupefatti a chiederci di nuovo perché: perché abbiamo chiuso gli occhi e non abbiamo agito per tempo quando ne avevamo la possibilità?

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