I “furti” più clamorosi ai Giochi Olimpici moderni

Si dice che, ai Giochi Olimpici, l’importante è partecipare. Spesso, però, la partecipazione è condizionata da errori arbitrali che, in alcuni casi, si sono rivelati clamorosi, per aver dirottato la medaglia d’oro da un atleta all’altro.

Quasi sempre la “svista” ha favorito un atleta del paese organizzatore e, in alcuni casi, anche in difformità di regole e regolamenti. Diamo un’occhiata ai casi passati alla storia come i più eclatanti.


Roma 1960. Il giudice arbitro rinnega il responso cronometrico

Fu il primo “furto”, da quando le Olimpiadi sono diventate un evento mediatico. Nelle gare di nuoto non esisteva ancora il cronometraggio elettronico e, per ogni corsia c’erano tre cronometristi manuali. Nella finale dei 100 sl maschili, lo statunitense Lance Larson fermò due cronometri sul tempo di 55.0 e uno sui 55.1 mentre, per l’australiano John Devitt, tutti tre i cronometri segnarono 55.2. Il giudice arbitro tedesco Hans Runstrumer, tuttavia, sostenne di aver visto vittorioso Devitt e gli assegnò la medaglia d’oro, anche se non era previsto questo potere decisionale in capo al giudice arbitro. Un’analisi alla moviola della CBS, successivamente, dimostrò inequivocabilmente che Larson aveva toccato il bordo della vasca 6 centesimi prima di Devitt (55.10 contro 55.16) ma ogni protesta risultò vana.

Tokyo 1964. Franco Menichelli scippato dell’oro

Dopo aver battuto l’idolo di casa, il campione del mondo Yukio Endo, al corpo libero, Menichelli si presentò agli esercizi liberi della specialità degli anelli, con il secondo punteggio degli obbligatori, ancora dopo Endo che, però, si auto eliminò con un clamoroso errore, in finale. La prestazione di Menichelli, invece, fu praticamente perfetta ma, inspiegabilmente, il verdetto fu a favore di un altro atleta giapponese, tale Takuji Hayata – che non aveva mai concorso né si sarebbe più ripetuto a tali livelli – e l’atleta azzurro dovette accontentarsi della medaglia d’argento per soli 0,05 punti di distacco. Lo stesso Menichelli dichiarerà in proposito: “un giudice australiano nella prova generale aveva assegnato dei punteggi molto strani. A tutti i giapponesi e ai sovietici assegnava punteggi alti, 9.70-9.80. A me, così come ad altri ginnasti dava sempre punteggi bassi, 9.30-9.40. Evidentemente non era all’altezza di una gara di quel livello.”

Monaco 1972. Pallacanestro: dopo il fischio finale, si fanno giocare altri tre secondi

Gli Stati Uniti, sino ad allora, avevano sempre vinto la medaglia d’oro ai giochi Olimpici e, forse, qualcuno dei “signori” dello sport mondiale si era stufato. Anche a Monaco, quando la sirena finale dell’incontro suonò, gli americani iniziarono a festeggiare l’ennesima vittoria, sia pur per un solo canestro sull’Unione Sovietica: 50-49. A quel punto intervenne il segretario generale della FIBA che costrinse gli arbitri a far giocare ancora tre secondi di partita, con palla a favore dei sovietici. Tale intervento non è previsto da nessun regolamento ma gli arbitri cedettero. Ripreso il gioco, un cestista russo riuscì a effettuare una rimessa lungo tutto il campo per il grande Aleksander Belov che, da sotto canestro, segnò i due punti della vittoria sovietica per 51-50. Gli USA sporsero reclamo che fu rigettato e i cestisti statunitensi non si presentarono alla cerimonia né ritirarono mai le medaglie d’argento.

L’asticella cade “misteriosamente” mentre l’atleta festeggia

Sempre a Monaco 1972, nella gara di salto in alto femminile, alla misura di 1.88 rimasero in gara la tedesca Ulrike Meyfharth e la bulgara Blagojeva. Blagojeva fallì i primi due tentativi, mentre l’atleta di casa, al secondo tentativo, la superò. A questo punto la bulgara tentò il tutto per tutto e chiese di utilizzare il terzo tentativo per superare 1.94 (record del mondo). Il tentativo che gli avrebbe consegnato la medaglia d’oro ebbe successo ma, dopo ben 11 secondi dal salto, mentre la bulgara stava esultando, l’assicella cadde misteriosamente decretando la sua eliminazione. L’atleta di casa, Ulrike Meyfhearth, non andrà oltre 1.90 ma, grazie alla “miracolosa” caduta dell’assicella dell’avversaria, poté salire sul gradino più alto del podio. In quelle Olimpiadi, nell’atletica leggera, si ebbero altri “strani” risultati a favore dei tedeschi organizzatori, come la vittoria di Heidi Rosendahl per un solo centimetro, nel salto in lungo femminile e quella per due centimetri (il minimo previsto) nel lancio del giavellotto, in favore di   Klaus Wolferman, quando, in entrambi i casi – a occhio – sembrarono aver saltato e lanciato meno del loro più diretto avversario.

Mosca 1980. Per l’atleta russo, il tuffo sbagliato si fa ripetere

Il tuffatore di casa Alexander Portnov sbaglia l’ultimo tuffo e va fuori dal podio. Vince il messicano Gutiérrez; secondo è Giorgio Cagnotto. Ma il sovietico chiede di ripetere la prova, sostenendo di essere stato disturbato dai clamori della vicina piscina del nuoto (come se i suoi avversari non lo fossero stati ugualmente). Clamorosamente, la giuria glielo concede e, grazie a ciò, vince la medaglia d’oro, relegando ai posti d’onore il messicano e l’italiano. Fioccano i ricorsi ma servono solo a far posticipare di un giorno la premiazione.

Los Angeles 1984. La sconfitta di Musone grida ancora vendetta

Semifinale dei pesi massimi tra l’italiano Angelo Musone e lo statunitense Tillman. L’italiano malmena il pugile di casa. Il verdetto dei giudici è in favore l’azzurro per 3-2 e starebbe già stretto a Musone, per ciò che si è visto sul ring. Per le regole dell’epoca, però, la vittoria ai punti per 3-2 deve essere convalidata da un jury d’appel che, incredibilmente, sovverte il verdetto in favore dell’americano per 5-0! Tillman, poi, vincerà la medaglia d’oro e Musone dovrà accontentarsi del bronzo. L’eco di tale verdetto è tale, nella sua Marcianise che, anni più tardi, quando Musone perse una causa civile in tribunale, il giudice non gli addebitò tutte le spese processuali, motivando sulla sentenza: “per meriti sportivi”. Quando, nel 2008, il suo compaesano Clemente Russo strappò il biglietto per Pechino, dichiarò: “Vado alle Olimpiadi per vendicare Musone!”

Seul 1988. Scandalo sul ring

Ancora un verdetto scandaloso nel pugilato, in favore di un pugile di casa. Nella finale dei superwelter, combattono il coreano Park e l’americano Roy Jones. Nonostante che Jones – come ha dimostrato la ripresa televisiva – fosse riuscito a colpire l’avversario con 86 pugni, contro il 32 del rivale, i giudici premiarono il coreano che vinse 3-2 ai punti. Al termine del match, anche il vincitore si scusò con l’avversario ma poi salì sul podio per indossare la medaglia d’oro. Successivamente uno dei giudici ammise che la decisione finale fu un errore. Conseguentemente fu sospeso, assieme agli altri due che avevano votato per la vittoria di Park. Un’investigazione ufficiale del Comitato Olimpico Internazionale del 1997 rivelò che tutti e tre i giudici che avevano votato contro lo statunitense erano stati invitati a cena dagli ufficiali coreani. Annoverato tra i migliori pugili di sempre, Jones è l’unico nella storia ad aver iniziato la carriera nei pesi superwelter e ad aver vinto il titolo mondiale dei pesi massimi. Già prima della finale, le vittorie di Park furono contestate, in particolare quella ottenuta contro il pugile italiano Vincenzo Nardiello, sempre 3-2, che protestò vivacemente, piangendo, alla lettura del verdetto. In quell’occasione, addirittura il segretario del CONI, Mario Pescante, si avvicinò al Presidente della giuria accusandolo di frode, puntandogli il dito sotto al naso.

Atene 2004. Agli anelli, la storia si ripete a danno di Yuri Chechi

Nella finale degli anelli, il bulgaro Jovtchev è praticamente perfetto. La giuria gli assegna 9.850 punti. Poi sale suIl’attrezzo il greco Dimosthenis Tampakos, beniamino del pubblico di casa. Nonostante reiterate imperfezioni, visibili anche a un occhio profano, la giuria gli assegna 9.862. Per ultimo, si cimenta l’italiano Yuri Chechi che – forse – ha un’impercettibile esitazione. Il punteggio, per lui, è 9.812, che gli vale la medaglia di bronzo. Il toscano ride; poi, di fronte alle telecamere della TV greca e al neo-campione olimpico, indica il bulgaro e, in rudimentale inglese, dichiara: “He is number one. Tampakos not good”. La Federazione internazionale, piccata, decide di far rivedere i filmati a otto nuovi giurati indipendenti. Il virtuale verdetto – comunque ininfluente – risultò: Chechi, addirittura 1°; Jovtchev 2° e Tampakos 8°, cioè, ultimo dei finalisti!

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