Far sgorgare e diffondere speranza, accoglienza, amore, a partire da me, ma non per me

cuorearcoQuesto è l’ethos del vero cristiano, vivere e “aiutare a vivere” questo pezzo di esistenza secondo Dio e non secondo l’uomo.

La liturgia di questa III domenica di Quaresima propone alla nostra meditazione l’icona giovannea che illustra l’incontro tra Gesù e la Samaritana (Gv 4).

Nelle prossime domeniche di quaresima, invece, vedremo la guarigione del cieco (Gv 9) e il ritorno in vita di Lazzaro (Gv 11), tutte pagine evangeliche queste, cariche di significato e utili per comprendere sempre meglio, alla luce dello Spirito Santo, i contenuti della nostra fede ed il vero senso del nostro battesimo.

Sin dai tempi antichi, infatti, proprio in Quaresima, i candidati a ricevere il Battesimo nella notte di Pasqua – i cosiddetti catecumeni – venivano preparati a questo momento attraverso l’ascolto di alcune catechesi, le cui tematiche erano tratte proprio dai racconti giovannei appena citati.

In questa terza tappa del nostro cammino penitenziale meditiamo il dittico di Gesù e la Samaritana. In questa mia breve comunicazione, non è semplice trasmettere la ricchezza di questo brano: occorrerebbe rileggerlo tante volte, meditarlo personalmente, immedesimandosi – e questo è l’aspetto più coinvolgente – nella donna di Samaria che, in un giorno simile a tanti altri, si reca presso al pozzo per attingere l’acqua. Lì trova Gesù, stanco del viaggio, accaldato ed assetato a causa della calura di mezzogiorno. “Dammi da bere” – dice Gesù. Per una tale richiesta che almeno inizialmente risulta fuori luogo, la donna rimane molto stupita: era molto difficile, infatti – per cause prettamente religiose – che un giudeo potesse approcciarsi ad una donna, tra l’altro sconosciuta, sposata sette volte e pure samaritana.

Sì, perché tra samaritani e giudei erano sorte delle ostilità che causarono un vero e proprio scisma. Per aprirsi ad un altro culto che praticavano non a Gerusalemme ma sul monte Garizìm, presso un altro tempio, i samaritani si staccarono dal Regno di Giuda; in più, a differenza dei Giudei, essi si univano in matrimonio con stranieri e gente di altre etnie, concedendosi persino a divinità pagane.

Le contese, insomma, erano molto aspre, perciò era inimmaginabile che un ebreo potesse persino rivolgere la parola ad un samaritano. Ma Gesù, volendo abbattere le barriere dell’odio e della discriminazione, vuole amare quel “presunto nemico” ed instaurare con lui un vero dialogo, il più lungo di tutti gli altri dialoghi che troviamo nella redazione dei Vangeli.

Il Maestro le parla di “un’acqua viva” che è capace non solo di estinguere definitivamente la sete dell’uomo ma di divenire in lei “una sorgente che zampilla per la vita eterna”; le rivela, inoltre, alcune vicende della sua vita personale e che finalmente era giunto il momento di adorare in spirito e verità il Dio dei Padri, l’Unico Dio; infine – cosa davvero rarissima nei Vangeli – le confidò di essere il Messia atteso.

Il tema della sete è molto caro all’evangelista Giovanni e percorre come un filo rosso tutte le pagine del suo Vangelo: “Dammi da bere” – dice Gesù alla Samaritana (Gv 4, 7); “Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva” – grida Gesù alla folla, durante la festa delle Capanne (Gv 7, 38); “Ho sete” – sono le ultime parole di Gesù sulla croce (Gv 19,28).

La sete di Gesù è l’ingresso per entrare nel mistero di Dio: per dissetarci, Egli assume i panni dell’assetato; per arricchirci Egli veste per noi l’indumento del povero (cf 2 Cor 8,9). Dio è assetato della nostra fede e del nostro amore; Egli, Padre buono, desidera per i suoi figli tutto il bene possibile e questo bene è Lui stesso, vivo, vero, presente in mezzo a noi nelle specie eucaristiche del pane e del vino.

Carissimi, cosa ci comunica la vicenda della donna di Samaria? Questa donna è l’immagine più vera e più reale di una vita vissuta interamente all’insegna della frustrazione e dell’insoddisfazione: ha avuto, infatti, tanti mariti. È l’immagine dell’uomo – ma anche della Chiesa attesta S. Agostino – che però non ha ancora trovato ciò che cerca: il suo recarsi spesso al pozzo – come sottolinea l’evangelista – ci parla di una quotidianità ripetitiva e rassegnata.

Quanti di noi sono come la donna samaritana! Un incontro casuale, non preparato, non voluto, non cercato le cambia radicalmente la vita. Ha conosciuto il vero Maestro, la sua vita, quindi, nulla è più come prima! Assapora una gioia così singolare che abbandona la brocca piena di acqua (simbolo questo, di ogni sua umana sicurezza) e corre subito verso il villaggio per annunciare ai suoi la specialità di un incontro particolarissimo: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (Gv 4,28-29).

Come la samaritana anche noi vogliamo aprire il nostro cuore per ascoltare fiduciosamente la Parola del Signore; il suo amore bussa di continuo al nostro cuore e ci dice: “io sono il Messia, il tuo unico Salvatore, la sorgente della vera vita”. E noi vogliamo tuffarci in questa sorgente per diventare sorgente.

È un bellissimo progetto di vita questo, a cui il credente anela sempre; far sgorgare e diffondere speranza, accoglienza, amore, a partire da me, ma non per me: questo è l’ethos del vero cristiano, vivere e “aiutare a vivere” questo pezzo di esistenza secondo Dio e non secondo l’uomo.

Ciò significa convertirsi, cioè, aderire a quella specifica iniziativa di Dio che viene verso di me, non solo con un atto della nostra volontà ma anche rispondendo concretamente al Suo Amore che si fa strada nel nostro modo di vivere a volte complicato, confuso e spesso disordinato.

Il tempo di Quaresima serve anche a non perdere il controllo, a saper gestire la nostra umanità; alla luce della fede, esaminiamoci per poter adorare in Spirito e Verità il Dio dell’amore sconfinato, così come ha fatto la donna di Samaria.

di Fra’ Frisina

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.