C’era una volta il Brasile: una nazionale che sapeva divertire

pele-1970L’ennesima brutta figura, questa volta rimediata contro il Paraguay in Copa America, ha messo a nudo la fragilità di una nazionale in crisi d’identità , una squadra che non sa più divertirsi e divertire.

Fino a qualche anno fa quando si pensava ad una nazionale di calcio non si poteva far altro che volare con la fantasia a quelle maglie verde-oro che per l’immaginario collettivo hanno rappresentato l’essenza del calcio per decenni. Giocatori come Pelè, Zico, Ronaldo, Romario, Garrincha, solo per citarne alcuni, rappresentano ancora oggi l’olimpo degli atleti che hanno reso grande questo sport, e che ancora oggi rappresentano un termine di paragone per tutti quei calciatori che ambiscono a diventare leggende.

Oggi il Brasile non c’è più, ha smarrito la sua magia, quella che riusciva ad incollare allo schermo tutti gli appassionati di questo sport. I grandi calciatori che hanno vestito la maglia verde-oro nel corso dei decenni sono stati sostituiti da giocatori “contaminati” dal calcio europeo, più improntato al pragmatismo, smarrendo quell’istinto che permetteva loro di fare cose in campo che gli altri potevano solo immaginare. L’unico che ha mantenuto un minimo di quell’istinto è Neymar, il talento del Barcellona è stato caricato però di troppe responsabilità, tutte le speranze calcistiche del Brasile erano appese ai suoi piedi. Il ragazzo, forse troppo giovane per caricarsi sulle spalle un peso simile, non è riuscito a gestire la grande pressione che gli ha fatto rimediare un’espulsione, pregiudicandosi così la fase finale della Copa America.

L’ultimo trofeo vinto dal Brasile in ambito internazionale risale al 2007, quando la squadra guidata anche allora da Dunga, batté per 3-0 l’Argentina in finale di Copa America. Uno dei tanti successi che ha permesso alla seleçao di arricchire il suo palmares contenente la bellezza di 5 mondiali, 8 coppe America e 4 confederations cup, trofei che hanno permesso al Brasile di diventare la nazionale più titolata al mondo. Da quel 2007 è iniziato il lento declino, culminato con la sconfitta di sabato scorso con il Paraguay. Un’altra cocente sconfitta rimediata dal Brasile nel giro di due anni, dopo quella subìta al Mondiale brasiliano del 2014 dalla Germania, partita terminata 7-1. Una sconfitta che ha fatto riaffiorare prepotentemente alla mente dei tifosi brasiliani quella del 1950.

In quell’anno si svolsero in Brasile i mondiali di calcio, un’occasione irripetibile per la seleçao   di vincere il suo primo mondiale davanti ai propri tifosi. La nazionale brasiliana arrivò in finale contro i rivali storici dell’Uruguay, una gara dall’esito scontato, vista la grande differenza di valori delle due squadre. I brasiliani si sentivano già campioni del mondo. La partita ebbe però tutt’altro finale, l’Uruguay vinse per 2-1 aggiudicandosi il secondo mondiale della sua storia. Un’umiliazione troppo grande da digerire per i brasiliani, che pensarono di non poter mai più superare quel trauma, se non con la morte. Le cronache parlano, infatti, di 34 suicidi dopo quel nefasto evento, che da allora prese il nome di Maracanazo. Allora però il Brasile seppe riprendersi, metabolizzata la sconfitta si rimise in piedi e costruì una squadra in grado di vincere il mondiale otto anni dopo. Uno scenario che pare assai improbabile per la nazionale attuale.

Il Brasile di oggi non sembra in grado di potersi rialzare così velocemente perché ha smarrito le caratteristiche che l’hanno contraddistinto nel tempo: l’allegria, la poesia e la voglia di divertirsi. Elementi che nella generazione calcistica attuale sembrano latitare tra i brasiliani, che non possono far altro che riprogrammare il loro sistema calcio e ripartire da zero.

di Giacomo Chiuchiolo

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