Aokigahara è una caliginosa foresta di 35 km² situata alla base nord-ovest del Monte Fuji.
E’ nota anche come Jukai, che in giapponese vuol dire “Mare di alberi” per via della sua conformazione atipica: la vegetazione è infatti cresciuta sui resti d’una eruzione vulcanica avvenuta nell’864 dopo Cristo e per tali ragioni, vista da una certa altezza, somiglia ad un oceano.
Da questo luogo particolarmente impenetrabile si può ammirare la vetta più alta del Giappone, ma la foresta è soprattutto conosciuta per essere luogo di numerosi suicidi: nel 2010, 247 persone hanno tentato il suicidio, 54 delle quali hanno compiuto l’atto. Il triste primato ha posto al secondo posto al mondo in cui si verifica il maggior numero di suicidi, dopo il Golden Gate Bridge a San Francisco. Poiché il mese preferito è quello di Marzo, (la fine dell’anno fiscale in Giappone), si deduce che la principale causa del gesto estremo derivi dalla situazione economica.
CARATTERISTICHE DELLA FORESTA
Qui, le rocce laviche, le caverne di ghiaccio e la fitta vegetazione che conferiscono alla foresta una struttura labirintica, frenano l’azione del vento e stabilizzano la vita animale, rendendo il luogo straordinariamente silenzioso e quasi privo di fauna.
In alcuni punti i rami sono talmente intricati da impedire la penetrazione dei raggi solari, cosicché anche nelle ore diurne vi sono zone totalmente avvolte dall’oscurità.
In inverno poi, la fitta nebbia proveniente dal Monte Fuji avvolge l’intera foresta negando quasi interamente la visibilità.
Ai visitatori è negato pertanto l’accesso ai sentieri, poiché è alto il rischio di perdersi tra la vegetazione.
Le poche grotte presenti non possono essere utilizzate come rifugio naturale poiché sono perennemente ricoperte di ghiaccio e speroni di roccia lavica taglienti.
Sarà forse per questo motivo, che la foresta è divenuta la meta preferita degli aspiranti suicidi?
I CADAVERI
Di cadaveri sparsi nella foresta se ne trovano tanti, almeno 70 l’anno, ma secondo le stime, parecchi di essi in fase di decomposizione verrebbero trasformati in humus. Il metodo più diffuso per porre fine alla propria esistenza è l’impiccagione, seguito dall’overdose di farmaci.
Alla vista, sembra di trovarsi davanti ad una traslazione delle incisioni di Gustave Doré, riguardanti la selva dantesca dei suicidi nel mondo reale. A rendere l’atmosfera ancora più inquietante sono inoltre i numerosi feticci voodoo appesi agli alberi e le tavolette riportanti maledizioni contro la società, contro il lavoro, contro il governo, contro le tasse o qualsiasi altra entità che spinse queste povere anime al gesto estremo.
A poco servono i cartelli (in lingua giapponese ed inglese) posizionati dalla polizia nipponica, con su scritte frasi tipo“ La tua vita è un dono prezioso dei tuoi genitori” oppure “Si prega di consultare la polizia prima di decidere di morire”: i giapponesi sono avvezzi alla pratica del suicidio, considerata in certi casi “nobile”.
Dal 1970 è stata istituita una ronda speciale composta da volontari, ufficiali di polizia, giornalisti, addetti alla rimozione dei cadaveri, ma ultimamente l’onere del recupero delle salme e della sepoltura è stato affidato agli abitanti della zona, i quali hanno subito un calo del turismo a causa dell’associazione della foresta al suicidio.
PERCHE’ PROPRIO QUESTA FORESTA?
Il luogo deve la sua notorietà al romanzo del 1960 Nami no tō di Seichō Matsumoto, in Inglese Black Sea of Trees” (“Il mare nero d’alberi”), ovvero la storia di due amanti che si toglievano la vita proprio nell’Aokigahara. Da allora il luogo è divenuto la meta preferita di tutti gli aspiranti suicidi.
Tra il 1988 ed il 2003 il sempre crescente numero di suicidi è arrivato a toccare anche le 100 unità l’anno ed in molti hanno addossato la colpa ad un altro bestseller del 1993, “The Complete Suicide Manual” (“Il completo manuale del suicida”), che consigliava al lettore l’Aokigahara come zona perfetta per porre fine alla propria esistenza.
A dire il vero, anche prima della pubblicazione dei romanzi erano avvenuti episodi del genere, quando gli ubasute, letteralmente “abbandono di una donna anziana” andavano a morire nella foresta, trasformandosi in yūrei “spiriti arrabbiati”, ovvero quelli di persone morte precocemente che non conobbero sepoltura appropriata (che ancora si dice infestino l’area).
Si narra che diverse famiglie nei secoli passati (si crede già in epoca Ashikaga, 1500-1600) avessero scelto la foresta come territorio dove abbandonare gli anziani al loro ultimo destino.
GLI INFESTATORI DELLA FORESTA
Non manca chi pensa che la foresta sia il regno di Binbou-gam, il kami della povertà, proprio per l’ingente numero di anziani e contadini presenti nella zona a causa della povertà delle famiglie. Si credeva altresì che nel luogo risiedessero i Kodama, ovvero spiriti degli alberi che amavano imitare le voci dei defunti (gli arbusti non venivano abbattuti per non ricevere sfortune da parte di queste entità).
Molti infine ritenevano che la zona fosse infestata dai Jubokko, alberi malvagi capaci di catturare i passanti e succhiare il loro sangue per nutrirsi e rimanere sempreverdi. Se per noi si tratta di una pratica macabra, per i giapponesi era un “rituale” normale, in quanto consenziente.
Gli anziani infatti si lasciavano volontariamente morire nella foresta per non pesare economicamente alla famiglia di provenienza, o per sottrarsi alla miseria. In questo caso, a sacrificarsi erano spesso i più giovani.
IL SUICIDIO IN GIAPPONE
In effetti nella tradizione giapponese, vicina ad una visione stoica e fatalista dell’esistenza, la concezione della vita come “soffio passeggero” è accostata alla consapevolezza d’una inesorabile fine che deve essere affrontata, tanto che un aforisma riporta “Non importa quanto giovani o forti si possa essere, l’ora della morte arriva prima di quando ci si aspetti. Si tratta di un miracolo straordinario a cui sei sfuggito fino a questo giorno, ma credi di avere anche la più breve tregua in cui rilassarti?”
Fra le pratiche più diffuse annoveriamo il “rituale” Harakiri (introdotto nel Giappone feudale dalla classe dei Samurai) ed il Seppuku. Al primo tipo di suicidio ricorrevano i Samurai per sottrarsi al disonore della cattura da parte del nemico.
Col tempo assunse anche il valore di una forma di esecuzione indiretta: i nobili ai quali il Mikado, o Imperatore, comunicava che la loro morte era essenziale per il bene dell’Impero dovevano compiere Harakiri. Il secondo tipo è stato tramandato fino ai nostri giorni. Solitamente si abbandonano alla morte molti uomini d’affare in casi di crack finanziari; per non parlare poi degli aderenti alla Yakuza, la famigerata mafia Giapponese, che possono essere tenuti a suicidarsi come estrema forma di punizione per aver fallito i compiti assegnati o aver arrecato disonore al loro “Oyabun” (capo).
NECROFILI E CURIOSI
Piccolo particolare: pare che la foresta sia frequentata da soggetti dediti a rituali necromantici, vista l’incredibile facilità d’entrare in possesso di resti umani e disporne a proprio piacimento. Alcuni spiritisti giapponesi sostengono che la struttura labirintica sia stata appositamente disegnata da spiriti che non trovano pace e cercano pertanto di impedire ai visitatori di uscire.
Altri consigliano invece di evitare il posto visto l’enorme carico d’energia negativa accumulata da secoli di sofferenze. Recentemente alcuni scienziati hanno affermato che nella zona ci sarebbe un giacimento di ferro talmente massiccio da guastare le bussola.
Sarà forse questa la vera ragione dei casi di sparizione?
di Simona Mazza
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