Antonio Boggia, il mostro di Milano

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La nostra storia comincia nel 1799, anno di nascita di Antonio Boggia, ma per sentir parlare di lui occorre attendere il 1860, quando il figlio della signora Ester Perrocchio, vedova ultrasettatenne che viveva sola, denunciò la scomparsa della madre. Le indagini portarono subito a sospettare di un certo Antonio Boggia, muratore che aveva fatto dei lavori nel palazzo dove abitava la signora.

Il Boggia, da modesto muratore, era diventato amministratore dello stabile dove Ester Perrocchio, proprietaria del palazzo, viveva; era stata proprio la signora Perrocchio a nominarlo, conferendogli una procura speciale dinanzi ad un notaio. Il Giudice Crivelli, incaricato dell’indagine, scoprì la stranezza della rapida ascesa del Boggia, che anni addietro era stato denunciato e condannato per il tentato omicidio di un anziano contabile, il signor Comi, il quale, attirato con uno strattagemma dal Boggia, era stato tramortito ma era riuscito a scappare.

Boggia, riconosciuto malato di mente, fu condannato al manicomio ed internato a Senavra; sottoposto a cure mediche, in pochi anni venne dichiarato guarito e rimesso in libertà.

Il giudice Crivelli cominciò ad interrogare tutti coloro che abitavano nello stabile della Perrocchio. Venne così a sapere che la mattina successiva all’ultima giorno in cui la donna era stata vista viva, il Boggia, impegnato in alcuni lavori di restauro nel palazzo, aveva chiesto al portinaio alcuni secchi d’acqua e poche ore dopo, era stato visto scendere le scale con un pesante cesto sulle spalle.

Il Giudice dispose la perquisizione del palazzo e si rinvenne il corpo della donna, murato in una intercapedine. Particolare macabro: mancavano la testa e le gambe, probabilmente trasportate altrove con un canestro.

Nel prosieguo delle indagini si scoprì che il Boggia aveva altre due procure speciali notarili: una conferita da Serafino Ribbone e l’altra da Ferramenta Meazza, entrambi scomparsi da tempo.

I fatti vennero ricostruiti

Emerse che il Ribbone era stato attirato dal Boggia in un magazzino ed ucciso. Stessa sorte era capitata al povero Meazza. Lo scopo degli omicidi non era solo la rapina: l’assassino era riuscito a falsificare le procure generali che lo rendevano, di fatto proprietario, dei beni delle vittime, alquanto benestanti.

Scavando nella cantina del pluriomicida vennero alla luce tre cadaveri: quelli di Ribbone e Meazza ed un terzo che risultò essere di un certo Marchesotti, un commerciante anch’esso vittima dell’imbonitore Boggia.

Il processo cominciò il 18 novembre del 1861. La difesa tentò di ottenere l’infermità mentale ma le prove schiaccianti confermarono la premeditazione e l’intento di truffa, la rapina e gli omicidi. Il Boggia venne condannato all’impiccagione che si volse a Milano davanti ad una folla di inferociti spettatori.

Mentre il corpo del criminale venne sepolto, la sua testa fu data in studio agli scienziati, tra i quali Cesare Lombroso, che confermarono come i cui tratti somatici presentassero la fisionomia tipica dell’assassino.

Tutte queste notizie vengono documentate e presentate nel libro di Giordano Lupi “Serial Killer Italiani”, Rusconi Libri.

Foto di PublicDomainPictures da Pixabay

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