Al via il 52° Festival Teatrale di Borgio Verezzi

È il 17 agosto 1967 quando Enrico Rembado realizza un progetto destinato a grande e duratura fortuna: il Festival Teatrale di Borgio Verezzi, piccola perla del mar ligure. Egli trasforma piazza S. Agostino in un teatro sotto le stelle. La chiesa di S. Agostino, che accoglie la scena, fronteggia un infinito che non ha bisogno di siepi per far volare la mente: profumi estivi della vegetazione ligure e mare a perdita d’occhio. Un teatro ideale.

Il primo anno viene messo in scena Due volti del Medioevo, di cantori duecenteschi, con la partecipazione straordinaria di Adalberto Rosseti e Giampiero Becherelli.

Negli anni successivi, il Festival si arricchisce. Borgio Verezzi diviene, in breve, uno spazio teatrale per un prestigioso repertorio, che spazia dai classici latini e greci ai contemporanei. Tragedie, commedie, monologhi. Su quel palcoscenico vivente, in quel borgo trasformato in teatro, ha calcato e continua a calcare le scene il gotha della prosa italiana.

Il pubblico, nelle ventilate sere estive, sotto la luna e le stelle che illuminano una sala inesistente, si lascia irretire, arricchire e trasformare dalla magia del teatro.

La straordinaria plasticità del linguaggio teatrale, del resto, ci rende tutti protagonisti di interpretazioni che compongono lo schema del mondo. Il teatro è eterno: nasce con l’uomo, con la sua esigenza di comunicare e con la sua mirabile capacità di muoversi nei piani irreali, trasportandoli nella realtà. Immaginazione. Il teatro è una parte essenziale dell’essere umano. Del resto pensiamo al fatto che il termine stesso “persona”, che ci definisce come esseri umani, origina dall’etrusco fersu, maschera teatrale; e, come tale, è passato nella cultura romanistica, tanto che Boezio, con personare, indica l’atto di parlare con una voce falsata da un ostacolo   -come, appunto, una maschera-   posto davanti alla bocca. Essere una persona, dunque, significa avere un ruolo nel teatro della vita, della rappresentazione scenica dell’esistenza. Noi tutti siamo maschere che recitano; ed iniziative preziose come questa di Borgio Verezzi, che porta il teatro in piazza, o, meglio, trasforma il borgo in teatro, creano la magia dell’incontro e ci mettono in contatto con una parte profonda di noi, con l’eleganza e lo stile di un teatro d’arte che entra in contatto col teatro della vita. Da una parte ci si libera dalla scena comunemente intesa, dall’altra si entra nella scena; la scena è una parte di quella città, di quei luoghi che, in altro momento, sono abitati. Questo avvicina il pubblico al teatro. Col teatro in piazza si abbattono gli schemi sociologici; si crea uno spazio che precede suddivisioni e mira all’unione, alla partecipazione effettiva.

È quanto emerso anche nel corso della presentazione del Festival, che il 30 maggio si è tenuta a Roma, nella prestigiosa sede della Banca Passadore in piazza Montecitorio, come di consueto. Il Consigliere Delegato al Teatro di Borgio Verezzi, Maddalena Pizzonia, ha puntato molto sulla condivisione tra attori e pubblico, proposta accolta con simpatia e disponibilità da tutti gli artisti presenti.

In cartellone tredici spettacoli, con una netta preponderanza di commedie, come sottolineato da Stefano Delfino, alla sua diciassettesima direzione artistica del Festival, il quale, citando Chaplin, parla dell’inutilità di una giornata trascorsa senza sorridere. E di risate, in effetti, il fortunato pubblico di Borgio Verezzi se ne farà parecchie, anche miste ad una lieve malinconia, perché il lato comico della vita non può prescindere dal dramma.

Sarà Le dive dello swing ad aprire il Festival, uno spettacolo con Ladyvette dove al canto si affiancano ballo e recitazione, sull’onda di una storia ambientata negli anni Trenta.

Seguirà Il Fu Mattia Pascal, con Pino Quartullo diretto da Guglielmo Ferro. E’ uno dei romanzi pirandelliani più rappresentati a teatro, evocativi di quel contrasto tra le diverse realtà che il drammaturgo pone sempre al centro delle sue storie e che, in questo caso, investono i piani dell’essere o, meglio, dell’esistere.

Da Pirandello ad Igor Chierici con La leggenda di Moby Dick, con lo stesso Chierici e Luca Cicolella.

Dal 18 al 20 luglio, poi, il palcoscenico accoglierà il bravissimo Giuseppe Pambieri, alla sua tredicesima partecipazione al Festival, Giovanna Ralli, Paola Quattrini e Cochi Ponzoni, diretti da Patrick Rossi Gastaldi nella bella commedia Quartet di Ronald Harwood, che nel 2013 abbiamo visto al cinema con la regia di Dustin Hoffman. Giovanna Ralli, che torna in scena dopo trent’anni di lontananza dal palcoscenico, e Paola Quattrini sono semplicemente splendide e ricche di personalità, di travolgente senso del teatro. Durante la conferenza, la Quattrini, anche lei più volte protagonista del Festival, scherza sul suo ruolo e sulla paura di invecchiare; poco dopo, durante l’aperitivo, brindiamo insieme alla sua giovinezza, perché ne ha da vendere.

Molière non manca quasi mai a Borgio Verezzi. Quest’anno il quinto spettacolo della stagione sarà La scuola delle mogli. Regista ed interprete Arturo Cirillo.

Subito dopo, il pubblico farà un salto indietro nel tempo con Il diario di Adamo ed Eva, testo a due voci tratto da Mark Twain, con Barbara De Rossi e Francesco Branchetti, che ripercorrono il mito della creazione in chiave comica. Due mimi interpretano i pensieri dei protagonisti. Lo sdoppiamento tra recitato e pensato mi ha sempre irretita; lo trovo un escamotage scenico pregevole. Mi fa tornare alla mente un film di Coppola, Un sogno lungo un giorno, film molto teatrale, dove ai dialoghi tra i personaggi si accosta l’interpretazione dei loro veri pensieri, affidata alle canzoni di Tom Waits.

Maximilian Nisi e Milena Vukotic

Dopo tante risate, un momento di riflessione con Squalificati di Pere Riera. Stefania Rocca interpreta una giornalista che deve fronteggiare le insidie di un’intervista ad un uomo di potere.

Siamo arrivati ai primi due giorni di agosto, quando il palcoscenico di Borgio Verezzi vedrà in scena un’incantevole commedia di Eric Coble, Un autunno di fuoco, con Milena Vukotic e Maximilian Nisi. Il regista, Marcello Cotugno, sottolinea la cadenza quasi musicale del testo, che affronta con lievità argomenti importanti: il rapporto tra madre e figlio ed il rapporto dell’anziano con il tempo che passa e con un nuovo tipo di progettualità, non a lunga scadenza ma ricca dell’esperienza acquisita fino a quel momento. Elegante e raffinata, con le movenze di una dama di Renoir, Milena Vukotic parla della commedia come di “un’invitante avventura dell’anima”. La trama riaccende nella mia memoria una lettura di qualche anno fa, L’asso nella manica a brandelli di Rita Levi Montalcini: diverse le modalità espressive, trattandosi di un libro di divulgazione scientifica, ma identico il risultato. Maximilian Nisi, alla sua decima partecipazione al Festival, brevemente racconta l’incontro artistico con Milena Vukotic: dopo aver a lungo progettato di lavorare insieme, finalmente hanno messo in scena quest’opera a cui tengono entrambi moltissimo.

Debora Caprioglio

Il Festival di Borgio Verezzi, però, non si anima solo in piazza S. Agostino, ma anche nelle sue grotte. Quest’anno saranno abitate da un monologo, Debora’s love, spettacolo divertente, con molta “venezianità”, come dice l’attrice ed autrice Debora Caprioglio, che ha voluto ripercorrere in grande allegria una parte del suo passato recitativo. La settimana seguente, invece, nelle grotte tornerà Dante Alighieri. Al Festival dello scorso anno fu l’Inferno ad aprire questo viaggio nelle cantiche dantesche; quest’anno è il Purgatorio, con Miriam Mesturino e la Compagnia teatrale Uno Sguardo dal Palcoscenico.

Torniamo a piazza S. Agostino con Pierre Chesnot, uno dei più rappresentati commediografi contemporanei. Il perché è facile a dirsi: le sue commedie sono sempre un perfetto mix di comicità arguta, raffinato intreccio e scene cadenzate da ritmi serrati, tra il vaudeville e la pochade. La commedia è Alle 5 da me con Gaia De Laurentiis e Ugo Dighero, per la regia di Stefano Artissunch; una squadra già vincente nel 2016, sempre a Borgio Verezzi, con un’altra commedia di Chesnot, L’inquilina del piano di sopra. I protagonisti recitano nei panni di diversi personaggi, in un gioco di coppie che si rivelerà un cerchio chiuso sin dal principio.

Rimaniamo in tema di teatro contemporaneo con un’opera di Cinzia Berni e Guido Polito, Casalinghi disperati, con Nicola Pistoia, Gianni Ferreri, Max Pisu e Danilo Brugia. Una casa condivisa da quattro divorziati, con quattro storie alle spalle, quattro ex mogli, quattro problemi che sembrano quaranta. Uno spaccato comico ma anche amaro della vita contemporanea che si fa dramma fuori dal teatro e che, a volte, si conclude con poca allegria in ben altro teatro, quello processuale.

Il Festival si chiude con Non si uccidono così anche i cavalli?, tratto dal romanzo di Horace McCoy, che ha un glorioso passato cinematografico con Jane Fonda diretta da Sydney Pollack. Sul palcoscenico di Borgio Verezzi, il regista Giancarlo Fares dirige Giuseppe Zeno e Sara Valerio.

Spettacoli vari, artisti brillanti. Al pubblico di Borgio Verezzi si offre la chance, anche quest’anno, di specchiarsi in tante diverse storie, farle proprie, giocare con le anime dei personaggi, misurandosi un po’ con loro. È l’essenza del teatro, in fondo. Nella rappresentazione teatrale, sia essa dramma o commedia, è insita l’originale competizione dionisiaca che comporta giocosità. E conosciamo, grazie a Huizinga, l’alto valore dell’homo ludens, il quale, superando i limiti dell’istinto, costruisce una forma di comunicazione articolata in gesti e parole, sottomettendo al gioco la ritualità sacrale e la prosaicità del bisogno. Il gioco ha i suoi spazi e le sue regole, ha il suo mistero nell’esplorazione della diversità che comporta il travestimento, la maschera, il trasferimento dell’esperienza attraverso l’interpretazione e la fruizione dell’arte interpretativa. Il gioco si trasforma in conoscenza, acquisizione di saggezza e, seguendo i percorsi della psicologia dell’arte, raggiunge gli stessi risultati della scienza attraverso l’emozione e l’appercezione, ossia la sovrapposizione del dato acquisito su quello già noto. Il teatro, non mi stancherò mai di dirlo, cambia ciascuno di noi, protagonisti e pubblico; ogni rappresentazione arricchisce la vita del singolo che vi partecipa. Nella partecipazione collettiva, dunque, è racchiusa l’idea stessa del teatro. E di partecipazione Borgio Verezzi ne vede tanta. Sempre. Cornice scenica perfetta, cartellone interessante, grandi attori che si avvicendano nel magnifico gioco del teatro. E non dimentichiamo i tradizionali premi relativi agli spettacolo della precedente stagione: il Veretium, giunto alla sua quarantottesima edizione, usualmente conferito all’attore od attrice che si sia particolarmente distinto, e che, quest’anno, in via del tutto eccezionale, verrà assegnato a in memoriam a Luigi De Filippo; il nono premio Camera di Commercio Riviere di Liguria, destinato al migliore spettacolo; ed il premio Fondazione De Mari per il migliore attore od attrice non protagonista.

Un Festival assolutamente da non perdere.

Scrivi

La tua email non sarà pubblicata

Per inserire il commento devi rispondere a questa domanda: *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.