Le riforme istituzionali al tempo della crisi

diritto_famigliaRiuscirò a non farmi convincere che il rimedio a ogni male del nostro paese risiede nell’attuale forma di governo consegnataci dai nostri Padri Costituenti? Saprò resistere alla tentazione di farmi risucchiare nel vortice delle dotte discussioni da talk show sul semipresidenzialismo alla francese o sul cancellierato tedesco e rimanere concentrato sui numeri che quotidianamente mi scorrono davanti, asettici, apolitici, apartitici, soprattutto impreparati a sostenere un esame di Diritto Costituzionale? 

I numeri, comunque si vogliano leggere, hanno il pregio di non fare sconti a nessuno, sono quello che sono e dicono ciò che rappresentano.

Debiti, fallimenti, disoccupati, cassintegrati, sono, in ultima analisi numeri e ai numeri non interessano né le forme di stato né le forme di governo, se ne infischiano delle leggi elettorali e dei quorum.

Non che nell’affrontare queste tristi sequenze aritmetiche non si possa, in qualche caso si debba, tenerne conto, ma occorre chiedersi se, effettivamente, sia quello delle riforme costituzionali il punto da cui partire, la madre di tutte le priorità, per cercare di ricondurre i numeri ad una dimensione almeno comprensibile e certamente più propria a quelli che dovrebbero connotare una delle prime economie mondiali nel nostro secolo.

Si ha inizialmente paura a scorrere dati e stime, si intuisce che dietro ci sono preoccupazione, speranze infrante e, a volte, molto di più, sacrifici, disperazione, non di rado la morte. In questo crescendo ininterrotto, il timore maggiore è quello dell’assuefazione, la consuetudine al dolore rende, purtroppo, sempre meno sensibili, sempre meno consapevoli del proprio e dell’altrui livello di sopportazione. Ci si abitua a tutto.

Invece no, non dovrebbe essere così, non deve essere così per niente al mondo. Si deve capire e si deve distinguere. Si deve soprattutto rimanere lucidi e non lasciarsi irretire e soprattutto distrarre da discorsi e congetture di altissimo profilo, certo degne e utili, ma, in questo momento non essenziali.

In una società che ha conosciuto, e forse ancora conosce o ricorda, bene il superfluo, è forse arrivato il momento di tornare ad apprezzare e soprattutto a riconoscere l’essenziale, il suo profondo valore.

Onestà e buon governo della cosa pubblica sono essenziali? Si lo sono come lo è il senso del dovere che dovrebbe pervadere coloro i quali sono investiti del ruolo, della funzione, in questo particolare momento storico perfino della missione, di aiutare un paese a ritrovare speranza. Ciascuno, onestamente, dovrebbe chiedersi e chiedere se quanto ci viene proposto in questi giorni come la cura ai nostri attuali mali sia effettivamente un sincero tentativo di compiere la propria alta missione di servizio al paese e ai suoi cittadini e ospiti, più o meno graditi e desiderati, ma pur sempre presenti all’appello delle rinunce e delle sofferenze, ovvero non sia l’ennesimo frusto tentativo di conservare, ancora per un po’, fin dove si può, un pezzo di privilegio, un frammento di rendita di posizione, una goccia di sudato benessere:

Un paese civile dovrebbe poter contare e avere fiducia che la selettività delle scelte operate nell’ambito di un sistema democratico, conduca a rappresentare le esigenze e le legittime attese del popolo sovrano, i migliori di noi, i più colti, i più preparati e consapevoli della responsabilità su di essi ricaduta.

Quanta tristezza nello scoprire, ancora una volta, con l’ennesimo disincanto, che illusionisti e funamboli sono l’elite cui abbiamo regalato voti e consegnato le vite nostre e delle future generazioni. Ricambieranno tutto ciò, ancora una volta, con l’ennesima meraviglia e qualche capriola.

di Marco Bartolomei

foto: thejackhome.com

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