Bilancio dell’anno appena trascorso. Lo scenario internazionale

Bilancio del 2018. Per quanto riguarda il quadro internazionale, così come per l’Italia, le previsioni erano molto incerte. Ciò dava la stura alle “cassandre” di esternare il loro pessimismo. Le loro fosche previsioni hanno avuto molte conferme nella situazione italiana. Diverso, invece, è il quadro che emerge da un esame complessivo di ciò che è avvenuto nello scenario estero.

Politica internazionale: centrale la posizione di Donald Trump

Il 2017 era finito con l’escalation nucleare della Corea del Nord, con relative minacce di destabilizzazione del mondo occidentale. C’era stato anche l’annuncio di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale unica di Israele. La prima vicenda, secondo gli osservatori, avrebbe messo in serio pericolo la pace mondiale. Inaspettatamente, però, la minaccia coreana si è conclusa nel migliore dei modi ed in pochissimo tempo.

Già a giugno, Donald Trump e il leader nord coreano Kim Jong-un si sono incontrati faccia a faccia. Era la prima volta che ciò accadeva tra i leader dei due Stati. I due hanno firmato un accordo storico in quattro punti. La Corea del Nord ha accettato di avviare un immediato processo di denuclearizzazione e gli Stati Uniti di fermare le esercitazioni militari con la Corea del Sud. Inoltre, i due capi di Stato hanno promesso di rivedersi nuovamente sia a Pyongyang che a Washington. La fine della minaccia nucleare nord-coreana, totalmente inaspettata, è stato l’avvenimento più importante del 2018.

L’annuncio del dicembre scorso, da parte di Trump, di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele (a rigore: Gerusalemme Ovest) non ha avuto le conseguenze tragiche temute dalle “cassandre”. Il problema palestinese, infatti, continua ad essere ai margini delle preoccupazioni degli attori della politica internazionale e lo si è visto in occasione dell’escalation delle tensioni con Hamas nella striscia di Gaza. Ad Israele è bastato razionare le forniture energetiche perché si trovasse subito un accordo per l’ennesimo cessate il fuoco.

A fine anno, Trump ha annunciato il ritiro del contingente USA dalla Siria. Ciò non significa la pace ma la fine della disastrosa politica di Obama di sponsorizzazione delle “primavere arabe” che ha portato soltanto instabilità politica distruzioni e milioni di morti e di profughi in pochi anni. A questo punto, il quadro sul terreno si semplifica: da una parte la Turchia di Erdogan, lasciata da Trump a tutela degli antigovernativi; Russia e Iran dall’altra, con i curdi che, volenti o nolenti, saranno costretti a scendere a patti con quest’ultimi. Non vediamo altra soluzione di un negoziato che tracci una linea di separazione provvisoria tra le parti, come quella tracciata sulle alture del Golan, mezzo secolo fa.

Europa: Macron prima su poi giù

Si temeva che UE e UK non trovassero un accordo sulle modalità della Brexit. Invece, la premier britannica Theresa May ha capito di non avere la forza per contrastare le linee dettate da Bruxelles, né l’interesse economico, in quanto una hard brexit avrebbe significato una sterlina più debole, la perdita dei mercati europei e l’isolamento politico per la Gran Bretagna. L’approvazione parlamentare dell’accordo siglato, tuttavia, è ancora di là da venire per mancanza della maggioranza necessaria a suo favore. Rimane incertezza ma non crediamo che l’ala “dura” del partito conservatore, alla lunga, voglia rischiare altre elezioni anticipate che sarebbero esiziali per la loro compagine.

In Europa, il personaggio più esposto mediaticamente è stato il presidente francese Macron. Nella prima parte dell’anno era riuscito a incassare un primo accordo sull’esercito unico europeo. Chiaramente, monopolizzato dalla potenza militare più forte, cioè la Francia. Inoltre, il presidente francese aveva ottenuto un ruolo di riferimento sulla situazione libica. Ciò, in conseguenza dell’incontro a Parigi, delle due parti in conflitto. Poi, però, ha dovuto mettersi da parte per quanto riguarda la Libia, sostituito inaspettatamente dall’Italia. Si è poi imbattuto in una forte opposizione nelle piazze, con le manifestazioni dei cd. “gilet gialli”. Per risolvere quest’ultima questione, è stato costretto a “sforare” il parametro UE del 3% del deficit di bilancio annuo. Con tale mossa non ha fatto una figura elegante agli occhi dei partners europei.

Per il resto, la “Guerra di Catalogna” è terminata – di fatto – con un armistizio che sancisce la vittoria dei governativi. Angela Merkel si è auto-imposta un lungo silenzio, limitandosi a preparare la sua successione. In silenzio – tutto sommato – è rimasto anche Putin. Lui aveva già raggiunto tutti i suoi obiettivi nel 2017.

Il quadro extraeuropeo

L’avvenimento più importante è stata l’elezione di Jair Bolsonaro alla presidenza del Brasile. Stiamo parlando del quinto Stato al mondo, sia per estensione che per popolazione. Per alcuni, ciò ha costituito la sostituzione di un populismo di sinistra (Lula-Roussef) con uno di destra. Sul fronte della lotta al terrorismo islamico non è stato ancora abbattuto Boko Haram in Nigeria né Al Qaeda nell’Africa Sahariana. Non crediamo che, in entrambi i casi, la soluzione sia prossima.

Concludiamo il bilancio dell’anno, citando l’attribuzione del premio Nobel per la pace a Nadia Murad e a Denis Mukwege. La prima, 25 anni, è un’attivista yazida, la minoranza religiosa di lingua curda. Negli ultimi anni è stata oggetto di terribili persecuzioni e violenze da parte dello Stato Islamico. Il secondo è un medico specializzato in ginecologia e ostetricia. Fondatore dell’ospedale di Bukavu (Congo), è diventato tra i più grandi esperti mondiali nel trattamento dei danni fisici dovuti agli stupri. Riteniamo ciò il frutto della consapevolezza dei diritti di emancipazione della donna nel terzo mondo, soprattutto in quello islamico. Tutto sommato, il bilancio complessivo è stato positivo.

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