Un voto per l’Europa

Finalmente ci siamo. Da oggi al 26 maggio i cittadini dei 28 Stati membri dell’Unione eleggeranno i deputati che li rappresenteranno nel Parlamento europeo, unica istituzione, tra le sette in cui si articola l’Unione, che viene eletta a suffragio universale. Circa 430 milioni di europei parteciperanno alle elezioni e il voto che daranno ai vari partiti nazionali sarà disciplinato secondo il sistema proporzionale, con una soglia di sbarramento del 4%. I seggi previsti per ciascuno Stato membro verranno raggruppati per affinità politiche e non per nazionalità. Attualmente otto sono i diversi gruppi politici collegati ai partiti nazionali più un nono gruppo non collegato ad alcun partito.

Regno Unito

Con la partecipazione del Regno Unito i seggi che verranno assegnati saranno complessivamente 751. In caso di Brexit i seggi spettanti al Regno Unito scompariranno (ma una quota degli stessi sarà ridistribuita in conseguenza delle mutate proporzioni nazionali). Nel 2014 i due gruppi principali che uscirono dalle urne furono quello dei cristiano-democratici (PPE, Partito Popolare Europeo) e quello dei socialdemocratici (PSE, Partito Socialista Europeo) che insieme ai liberali dell’ALDE (Alleanza Democratici e Liberali per l’Europa) hanno oggi la maggioranza (rispettivamente con 216, 185 e 77 seggi, per complessivi 478 seggi).

Brexit

La Brexit è solo uno dei fattori di incertezza di queste elezioni. Negli ultimi cinque anni l’assetto politico europeo è stato fortemente influenzato dalla crisi economica (che ha colpito soprattutto i paesi più deboli, Italia compresa), dai mutamenti nei rapporti politici e commerciali con le potenze mondiali (America, Russia e Cina in primis), dall’aumento dei flussi migratori (compresi quelli via terra che nel 2015 hanno portato oltre un milione di profughi in Germania) e, non da ultimo, dai numerosi attacchi terroristici di matrice islamica.

Il risultato, a livello nazionale, è stato il forte aumento di consensi dei partiti populisti, nazionalisti e sovranisti. Questa tendenza è stata confermata anche nelle recenti elezioni in Spagna dove il partito di estrema destra Vox ha ottenuto il 10% dei voti. Soltanto tre anni fa questo partito aveva lo 0,2% dei consensi.

I fattori sopracitati inevitabilmente comporteranno ricadute nell’assetto politico globale dell’Unione e l’accentuarsi della frammentazione partitica a livello nazionale contribuirà a rendere difficile la formazione di una coalizione di maggioranza anche a livello europeo. A poco meno di una settimana dalle elezioni dell’unico parlamento transnazionale del mondo, il risultato è quanto mai incerto.

Quale Europa uscirà dalle urne il 26 maggio 2019?

Vinceranno gli euroscettici o i sostenitori dell’Unione? Sarà possibile formare una maggioranza che permetta il funzionamento del Parlamento, che permetta le modifiche ai trattati e alle stesse istituzioni europee da più parti sollecitate? Quale peso avranno i partiti dichiaratamente anti-europeisti come il sopracitato Vox, quelli di estrema destra dei paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), il francese Front National, la Lega in Italia e Alternative für Deutschland in Germania?

Sondaggio della fondazione Bertelsmann

Nello scorso mese di gennaio un sondaggio della fondazione Bertelsmann relativo a un campione di 23.000 elettori dei 12 maggiori paesi europei ha evidenziato che l’aumento di consensi per i partiti nazionalisti potrebbe essere piuttosto consistente e tuttavia non tale da capovolgere i rapporti di forza tra maggioranza europeista e opposizione anti-europeista. Dal sondaggio è emerso anche che molti elettori non sapevano ancora cosa votare, altri sapevano solo per chi non avrebbero votato.

Probabilmente le ultime settimane di campagna elettorale serviranno a coagulare le intenzioni degli indecisi. Il fatto che, a quarant’anni dalle prime elezioni europee, la posta in gioco sia diventata la stessa sopravvivenza dell’Unione, convincerà probabilmente molti elettori a recarsi alle urne scongiurando un ulteriore aumento dell’astensionismo.  

Nel 2014 solo il 42,54% degli elettori andò a votare (in Italia furono il 57,22%), nel 1979, anno della prima elezione (a cui parteciparono solo 9 paesi europei), la percentuale di votanti fu del 62% (in Italia quasi l’86%). 
I motivi della diminuzione dei votanti sono riconducibili a una disaffezione generale nei confronti dell’Ue e delle sue istituzioni, poco conosciute dalla maggioranza dei cittadini europei e, soprattutto, percepite come parti di una macchina burocratica complessa e poco efficiente. 

Le infinite discussioni sugli aspetti più svariati – da quelli marginali come le quote latte a quelli cruciali come la ripartizione dei migranti o la moneta unica – hanno contribuito a creare disaffezione facendo cadere in ombra i numerosi vantaggi portati dall’Unione, primo fra tutti quello della libera circolazione di persone, merci e capitali. Che i meccanismi di funzionamento dell’Unione richiedano una drastica revisione è innegabile, ma ciò non giustifica che insieme all’acqua sporca venga gettato via anche il bambino. Quel bambino è la nostra casa comune, sorta dalle macerie della seconda guerra mondiale, baluardo di pace e di amicizia, di libertà, democrazia e prosperità per mezzo miliardo di cittadini.

Altiero Spinelli

L’edificio principale del Parlamento europeo a Bruxelles porta il nome di Altiero Spinelli, considerato uno dei padri fondatori dell’Unione europea. Spinelli fu membro della Commissione europea e parlamentare europeo dal 1979. Nel Manifesto di Ventotene dal titolo “Per un’Europa libera e unità”, scritto nel 1941 mentre si trovava al confino come oppositore del regime fascista egli tracciò le linee di principio per il superamento degli Stati nazionali e la costruzione di una Europa federale. Oggi, a quasi 80 anni dalla stesura del manifesto di Ventotene, questa idea di Europa è minacciata dal ritorno dei nazionalismi e, forse ancor di più, dall’indifferenza e dalla sfiducia  verso le istituzioni europee. Indifferenza e sfiducia che si traducono nell’astensionismo di oltre la metà degli elettori.

Ciò che ogni elettore dovrebbe chiedersi è se il disinteresse espresso dall’astensionismo oltre le istituzioni europee riguardi anche l’idea stessa di Europa. Ciò che ogni elettore dovrebbe chiedersi è in quale Europa vorrebbe vivessero i propri figli. Ciò che ogni elettore dovrebbe capire è la grande responsabilità insita nel suo voto. Che questo suo voto non è un diritto scontato, ma il risultato di secoli di guerre e sofferenze grazie alle quali sono state realizzate la democrazia e la prosperità in cui oggi viviamo. 

Condivisone e Unità

Affinché la casa comune continui a crescere e a prosperare è necessario, questa volta ancor più che in passato, un voto per l’Europa e contro la minaccia involutiva rappresentata dai nazionalismi emergenti.
La Brexit è stata uno dei risultati, forse il più eclatante, di questa involuzione. Ora c’è da sperare che dal voto dei cittadini del Regno Unito emerga la chiara volontà di rimanere nell’Unione. Ora c’è da sperare che i cittadini di tutti gli Stati membri dell’Unione europea con il loro voto mostrino di aver compreso che l’unica strada per affrontare le grandi sfide riguardanti clima, ambiente, energia, migrazione, terrorismo, sicurezza, difesa, politica estera, commercio internazionale, fisco, scuola, lavoro, etc., è quella della condivisione e dell’unità, condizioni essenziali per costruire un futuro comune. 

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