Prima commedia di costume di Molière, il Misantropo è un testo che descrive in maniera perfetta la società di quel periodo, ma che si rivela essere più attuale che mai.
Questo spettacolo con la bellissima regia di Massimo Castri, che ha aperto la stagione del Teatro Argentina di Roma, ha già riscosso molto successo. Castri ci racconta un uomo che ha un rapporto difficile con la società che lo circonda a causa del suo carattere. Un personaggio difficile e complesso, innamorato di una donna che è l’opposto di quello che è invece lui. Lo svolgersi della vicenda viene immerso da Maurizio Balò in una scenografia che gioca sul contrasto: il nero del vestito degli attori e delle pareti e il bianco degli infiniti specchi con candelabri che ricoprono queste, delle sedute e del vestito di Célimène. Gli interpreti si vedono costretti ad entrare in scena tramite due piccole aperture laterali, quasi chinandosi in gesto di riverenza, metafora del loro continuo scendere a compromessi.
Massimo Popolozio è un Alceste disarmante, tutto in lui è volto a mostrare le debolezze di questo misantropo che appare quasi come un Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento. Alceste tenta di imporre i suoi valori, ma gli altri personaggi sono troppo indaffarati nelle loro chiacchiere e nel lodarsi per poter osservare il loro comportamento dall’esterno.
I sorrisi e le risate che il testo riesce a strappare sono quasi forzati perché da subito ci troviamo davanti alla drammaticità di questo personaggio. Castri legge il “Misantropo” in modo nuovo e il ruolo di Alceste acquista un significato più profondo. I personaggi che ruotano attorno ad Alceste sono forti se immersi nella società, ma deboli quando si trovano da soli davanti al protagonista. Oltre alle loro immagini riflesse negli specchi resta solo la superficialità.
Graziano Piazza è uno splendido Filinto che prova per tutta l’opera a “far ragionare” Alceste e a farlo scendere a qualche compromesso con la società che lo circonda. Federica Castellini è una bellissima Cémimène vestita di bianco, quasi a perdersi nella scenografia come se ne facesse parte. È l’unica che per qualche istante fa cedere il muro di Alceste e che lo fa cadere in ginocchio davanti a lei. Maestrali anche gli altri interpreti che non lasciano nulla al caso e che trasmettono una piena sintonia.
Alla fine dello spettacolo si resta davanti a un Alceste immerso nella sua solitudine, ma che conserva la sua dignità e forse qualcuno verrà sfiorato dall’idea di rifugiarsi lontano dai finti sorrisi che invadono la società.
Prossime date:
dal 16 novembre al 12 dicembre – Teatro Strehler (Milano)
dal 25 gennaio al 6 febbraio – Teatro Carignano (Torino)
Sara Citterio
Scrivi