Il governo di Recep Tayyip Erdogan ha proclamato tre giorni di lutto nazionale dopo la strage della miniera di carbone di Soma, nella provincia di Manisa della Turchia nord-occidentale. Circa 700 le persone al lavoro al momento dell’esplosione, avvenuta a due chilometri di profondità, probabilmente in seguito a un corto circuito. L’incendio che ne è derivato ha bloccato il funzionamento degli ascensori e provocato il crollo di una parte della struttura.
Secondo le ultime notizie, il ministro dell’energia Taner Yildiz ha confermato gli oltre 200 morti. Intanto continuano senza sosta gli scavi per riportare alla luce i minatori ancora intrappolati infondo alla miniera –a circa 4000 metri dall’uscita del pozzo-. Le ricerche si stanno rapidamente trasformando in una drammatica corsa contro il tempo: con il passare delle ore le maschere antigas dei possibili superstiti, con un’autonomia già limitata, potrebbero non essere più sufficienti, e i il fumo dell’incendio e il blackout mettono a rischio l’incolumità degli stessi soccorritori, alcuni dei quali sono già stati ricoverati.
Tra le centinaia di famiglie in attesa davanti ai cancelli della miniera, sono molti i disperati che aspettano di poter riconoscere un volto familiare sulle barelle. Le televisioni turche trasmettono le disarmanti immagini dei numerosi corpi senza vita avvolti nelle coperte. Secondo Cengiz Ergun, sindaco di Manisa, sarebbero 80 i feriti fin ora recuperati. Si parla di altri 200 dispersi, ma i dati sono contraddittori.
Un disastro simile, in Turchia, risale all’ormai lontano ’92, quando un’esplosione di gas a Zonguldak, nella regione del Mar Nero, fece 263 morti. La sicurezza degli impianti minerari turchi è sempre stata oggetto di accese polemiche: proprio a Zonguldak, nel novembre 2013, i minatori erano insorti, protestando contro le scarse misure di sicurezza adottate dall’impianto.
di Simona Scardino
foto: euronews.com
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