Lo spirito del male, sempre pronto ad ingannarci, tenta con molta astuzia. E la sua voce, camuffata da angelo di bene, spesso ci ripete: “Svendi la tua felicità – ancor peggio – svendi la tua dignità al possesso delle cose terrene. Tutti noi dovremmo sapere per esperienza che le cose materiali, quelle che non hanno anima, non potranno mai soddisfare in pienezza il nostro cuore. Essi, come il veleno di un serpente, pian piano ci rubano l’anima. Ma ci siamo mai chiesti perché le cose temporali non ci offrono appagamento? La risposta, carissimi, è una sola: i beni della terra non offrono la felicità perché essi passano, si esauriscono; offrono invece, il piacere che dura però solo qualche istante. Tutto ciò che Dio ha creato è “cosa buona”, anche i beni terreni che Egli ha messo a nostra disposizione sono “cosa buona” e rimangono tali se si utilizzano per un servizio alla vita, sono tali se rendono un servizio all’uomo; diventano “cosa non-buona” quando il nostro egoismo li rende “oggetto assoluto e indispensabile per il raggiungimento della felicità”. Ricordiamoci come Satana all’inizio dei tempi infranse questa felicità con una menzogna fatale: “O uomo, mangia il frutto proibito, diventerai come Dio! Mangia il frutto dell’albero e sarai felice!” Adamo ed Eva ne mangiarono e Satana, da angelo portatore di luce, divenne angelo portatore di tenebra. Carissimi, guardiamoci attorno e facciamolo con coraggio: non siamo forse continuamente esposti alla tentazione? L’uomo riempie la sua vita – fino all’indigestione – di cose materiali che, prima o poi, lasciano il tempo che trovano. È raccapricciante ascoltare dal TG (notizia di qualche giorno fa) che una fila interminabile di marionette – perché così oggi l’uomo purtroppo è definito – attende l’apertura di un centro commerciale a Milano per accaparrarsi ed acquistare l’ I-Phone4, l’ultimissimo modello di telefonia avanzata e sofisticata; ore ed ore di fila, un’intera notte trascorsa in piedi per possedere quasi alla maniera maniacale, l’ultimo progresso della tecnologia contemporanea. Ecco il vitello d’oro che ancora oggi, come ai tempi di Mosè, si ripropone sotto svariatissimi aspetti; ecco il peccato contro il primo comandamento: “Non avrai altro Dio all’infuori di me”. Nonostante tutto, Dio ci ama e ci cerca, come cercò Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre dopo il peccato: “Uomo, dove sei?”. I beni terreni, fumo che presto svanisce, sono vanità delle vanità. E facilmente le vanità rapiscono il cuore. In questi giorni poi, basterebbe andare al mare per notare il trionfo dell’idolatria del corpo e lo sfoggio dell’immodestia; notiamo purtroppo, come la bellezza del corpo, che Dio ha pur dato, è ridotta a merce e non è valorizzata come un dono prezioso. Stoltezza? Sicuramente! Essa è la falsità con la quale guardiamo noi stessi, gli altri, le cose, il presente, il futuro. Stolto invece, è colui che è guidato da questa falsità, colui che nega la stessa esistenza di Dio, colui che vive come se fosse senza anima, che si comporta e si relaziona solo pensando ai suoi interessi immediati. Ed oggi la stoltezza invade l’umanità intera. La falsità sta rovinando le relazioni vitali consegnando il mondo alla sua stessa morte. E il Vangelo di questa Domenica, a proposito, ci aiuta a riflettere e nello stesso tempo mette in chiaro tante cose. Oggi Gesù è tentato. Un uomo Gli chiede di convincere suo fratello a dividere l’eredità con lui. Una vera tentazione perché – lo sappiamo – Gesù non ha ricevuto la missione di occuparsi direttamente delle cose della terra ma quella di occuparsi delle cose che riguardano Dio. E ciò, carissimi, ci insegna che ogni uomo deve operare il bene in conformità alla missione che egli ha ricevuto da Dio. Nel frattempo Gesù approfitta di questa situazione per consegnare ai suoi uditori un principio di ordine generale, che vale per tutti: “Ogni uomo deve tenersi lontano dalla cupidigia”. La cupidigia è l’amore disordinato per le cose di questo mondo, la sete insaziabile per le cose della terra, per i suoi beni. E Gesù illumina quelle menti, che poi sono anche le nostre menti, con il racconto di una parabola: c’è un uomo ricco, anzi, ricchissimo che però, per un momento, proprio a causa della sua troppa ricchezza, si trova confuso. Ma egli trova subito una soluzione che in un primo momento è umana, razionale; successivamente però, essa risulta inconsistente, per diversi motivi: l’anima si nutre di un cibo spirituale. La materia non nutre l’anima; l’anima, non ha a sua disposizione alcun bene, semplicemente perché è spirito; in ultimo, la vita dell’uomo non è riposare, no è mangiare, bere, divertirsi. Il fine della nostra vita è molto più alto e più nobile. Il fine della nostra vita è uno solo: amare. Diceva Paolo VI: “Il possesso e la ricchezza fine a se stessa sono la paralisi dell’amore”, ed è vero: può mai la nostra epoca essere denominata solidale, quando non ve ne sono i segni? Eppure è tanta la speranza quando i cosiddetti grandi della terra si riuniscono per cercare soluzioni ai grandi problemi del pianeta. Tuttavia si ha l’impressione che da questi grandi convegni escano solo balbettii e promesse difficili a mantenersi. I Paesi ricchi, soprattutto quelli del nostro occidente, malati di benessere, non sanno, non hanno saputo, o non vogliono farsi speranza per coloro che per es. muoiono di fame? Eppure tutti, proprio tutti, potremmo vivere dignitosamente se si ponesse la parola “fine” al benessere di pochi e nascesse finalmente, quel germe di “mondiale solidarietà” utile e indispensabile per dar da mangiare a chi non ne ha. Solo così faremo della nostra vita e dei nostri beni un dono di amore per i nostri fratelli; solo se faremo così un giorno finalmente potremo dire convinti: vivere ha avuto veramente un senso.
Fra Frisina
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