Quale Europa, dopo il referendum olandese?

image_articleL’accordo di associazione tra UE e Ucraina è stato bocciato dagli elettori olandesi, nel referendum proposto dai movimenti euroscettici locali, con il 61% dei voti contrari. Anche se, a ben guardare, in una consultazione valida con appena il 30% di soglia, l’affluenza alle urne è stata solo del 32,2% degli aventi diritto; troppo bassa, perché potesse avere un senso, l’indicazione dei partiti governativi ad astenersi, comunque osservata dal 67,8% degli elettori.

I Paesi Bassi erano il 28° e ultimo Stato membro dell’Unione a pronunciarsi sull’accordo di associazione, già approvato da tutti gli altri 27. Dato il valore parzialmente consultivo del referendum, l’esito più probabile del voto olandese potrebbe essere quello della sospensione dell’accordo per quanto riguarda l’omologazione della legislazione ucraina a quella europea nel campo dei diritti e del sistema giudiziario, mentre rimarrebbe il vigore il trattato sul libero commercio. Ancora una volta, quindi, a farne le spese, sarà il concetto di democrazia.

E’ comunque una vittoria, sul piano politico, del Presidente russo Vladimir Putin, il quale, proprio subito dopo la sigla dell’accordo di associazione, aveva fatto invadere la Crimea e i territori ucraini abitati in maggioranza da russi, onde evitare che cadessero sotto il controllo economico-politico dell’Unione Europea. Ora, dopo il voto olandese, non solo continuerà a controllare militarmente quei territori, ma incassa anche la sospensione parziale dell’accordo stesso.

I partiti euroscettici del continente (Fronte Nationale, Lega Nord, Podemos e UK Indipendence Party) hanno subito sbandierato il risultato come la fine dell’Unione Europea. In realtà esso rispecchia principalmente due cose: in primis, il parziale fallimento della politica di allargamento ad est dell’Unione; secondo poi, il disorientamento dell’elettore europeo di fronte alle troppe definizioni di collaborazione continentale individuate dalla Comunità per accontentare, di volta in volta, l’interesse nazionale di un singolo membro o di una singola parte trattante.

Quando si parla di Europa, infatti, “l’europeo della strada” deve ogni volta capire se si trovi dinanzi all’Unione economica a 28 Stati, con le sue due o tre marce (e qui si palesa subito il differente potenziale economico tra i paesi del Nord Europa, quelli del Sud e quelli ex-comunisti dell’est), oppure se si stia parlando di Eurolandia o Eurogruppo, cioè dei 19 Stati che adottano l’Euro. Ma c’è anche l’Europa dell’Area Shengen, che comprende i 26 Stati che hanno abolito i controlli doganali alle loro frontiere interne, mantenendoli soltanto all’esterno. Per quanto riguarda tale spazio, poi, il cittadino europeo non capisce perfettamente per quale motivo, l’accordo in questione abbia previsto la facoltà degli Stati firmatari di poterlo sospendere a loro uso e consumo.

Infine, c’è la pletora degli innumerevoli “Stati associati”, esterni all’Unione, ma vincolati ad essa in qualche modo, come si voleva che fosse l’Ucraina. In tale confusione generale non c’è da meravigliarsi se l’elettore olandese, quanto meno quello che è andato alle urne, si sia pronunciato per uno stop all’accordo di associazione con Kiev.

Purtroppo la tendenza a frammentare i rapporti tra gli Stati dell’Unione continua e lo si è visto con il recente accordo tra l’Unione e un suo membro a pieno titolo dal 1973, e cioè il Regno Unito, al quale, nel febbraio scorso, è stato consentito di limitare la libertà di circolazione dei lavoratori comunitari e il loro accesso al welfare britannico, prerogative che rimangono intatte, peraltro, nei confronti dei lavoratori extracomunitari che vogliono accedere in territorio britannico, senza passare per la UE.

L’adesione della Gran Bretagna è quindi, allo stato attuale, meramente formale, perché non solo non aderisce all’area Euro ma ha anche sospeso l’applicazione dell’accordo di Shengen e addirittura, ora può disapplicare a suo piacimento il principio base dell’Unione Economica Europea, cioè la libera circolazione dei lavoratori degli Stati aderenti alla stessa.   

E’ evidente che tale accordo è stato siglato onde evitare che, nel referendum già indetto per il prossimo 23 giugno, i sudditi di Elisabetta II votino per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Ammesso e non concesso che il risultato sia conforme a tale obiettivo, la constatazione che la patria di Winston Churchill sia ormai un corpo estraneo alla UE, in tutto e per tutto, è di fronte agli occhi di tutti.  

Noi, proprio perché crediamo nell’ideale europeo, a questo punto, riteniamo che sia meglio per tutti che chi, come il Regno Unito, non aderisce ai principi fondamentali dell’Unione (moneta unica, libera circolazione dei lavoratori, ecc.), sia libero di andarsene quando vuole e che, anzi, lo faccia prima possibile.

Meglio un’Europa a 19 (l’area Euro) che un’Europa a 28 o a 35, dove si consenta ad ognuno di sospendere le clausole di associazione, come gli pare. Anche nell’area Euro, inoltre, è urgente che vi sia un’unica direzione di politica monetaria: via le Banche centrali nazionali e tutto il potere alla BCE. Diversamente, come diceva il saggio, in dialetto romanesco: «Co’ troppi galli a cantà, nun se fa mai giorno!»

di Federico Bardanzellu

Fonte foto: Hargreaves Landsdown

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