Non il proprio io ma Dio al centro della nostra vita

In questa Domenica noi, popolo di Dio in cammino nel tempo e nella storia, siamo invitati dalla liturgia ad invocare il dono della Sapienza e a riflettere sulla proposta di radicalità evangelica propria del cammino cristiano. L’uomo di tutti i tempi, anche l’uomo del Terzo Millennio che intende seguire il Maestro deve essere pienamente cosciente che “Seguire Cristo è difficile, ma non impossibile” (Giovanni Paolo II). Tantissimi sono coloro che intraprendono la sequela di Gesù; tanti altri ancora vivono il momento dell’indecisione, altri sperimentano l’ora della crisi. La nostra epoca è segnata da un forte disagio perché il binomio fede-vita è stato scisso; la fede, per alcuni, si vive esclusivamente in chiesa; questi, rientrati nelle proprie realtà, indossano i panni di un’ordinarietà lontana mille miglia dall’istanza evangelica; è vero! ci siamo creati la divinità a misura d’uomo, non considerando, tra l’altro, che Dio, nel suo amore di Padre, permette anche questo! Purtroppo ci sono tanti che si dicono di Cristo, ma Gesù non è veramente al centro della loro vita; costoro mettono al primo posto il possesso delle cose materiali, le tante ambizioni, i tanti interessi, in sintesi il proprio io e non Dio. Questo stile di vita rende l’uomo simile allo stolto e offusca l’azione santificatrice dello Spirito Santo. La prima lettura (Sap 9, 13-18) è uno stralcio della preghiera del saggio re Salomone che, nel governare la sua gente, chiede a Dio il dono della Sapienza. I versetti che la liturgia ci propone hanno come fondamento quattro domande retoriche: chi mai può penetrare nel mistero di Dio se non la Sapienza? Chi può risalire al volere del Signore? Chi può scoprire i segreti celesti? Chi può conoscere il progetto che Dio ha deliberato riguardo alla realtà creata? La risposta, miei cari, è sempre una sola: è la sapienza il tramite tra Dio e l’uomo, è la sapienza che ci rivela il pensiero e la volontà di Dio. Proprio per questo legame tra la divinità e l’umanità, la lettura cristiana concepirà la Sapienza personificata come una figura di Cristo che ci rivela il mistero del Padre e che discende dal cielo per donarsi all’umanità, assumendone la carne, ma non il peccato. Parallelamente, al vers. 17 la Sapienza è anche l’immagine del Santo Spirito, ossia della manifestazione vivificante e salvifica di Dio, ragion per cui la tradizione cristiana ha attribuito molti passi biblici della sapienza divina allo Spirito Santo e alla sua reale presenza nel cuore dell’uomo. Infatti, è lo Spirito Santo – questo è anche il messaggio della seconda lettura (Lettera a Filemone) – che da schiavi ci rende liberi, donandoci la vita piena in Cristo e rendendoci figli nel Figlio. Filemone, il destinatario della lettera paolina, è un amico di Paolo, ricco e generoso, nella cui casa – in origine si soleva fare così – si radunava la comunità per la celebrazione della Domenica. A costui Paolo, che intanto è in catene e prigioniero, rimanda colui che ama come le sue “stesse viscere”, Onesimo, schiavo fuggito proprio dalla casa di Filemone e che quindi secondo il diritto romano doveva essere restituito al padrone che ne avrebbe deciso la sorte. Paolo a proposito, esprime la nuova visione che il cristianesimo stava introducendo nelle relazioni sociali: lo schiavo non è più tale, ma deve essere accolto come “comune fratello nel Signore Gesù”, oltre che come uomo. Questo nuovo status rappresentò per l’epoca una vera rivoluzione e fa della lettera a Filemone un vero capolavoro di penna e di cuore. La folla che segue Gesù nel suo cammino verso Gerusalemme è stanca, affranta, ha sete di verità e per loro Gesù rappresenta l’unica àncora di salvezza. Ma a loro il Maestro parla chiaro: seguire Lui costa. Costa il sacrificio della croce, costa il proprio martirio, costa l’oblazione della propria vita. Seguire Lui significa rinunziare a tutto. Gesù chiede radicalità e amore preferenziale alla sua persona. Amare Gesù più degli altri significa donargli l’esclusività del primo posto. Prima Lui, tutto il resto è relativo; il buon cristiano nel suo amore pone ogni altro amore. Al termine di questa celebrazione dobbiamo ritornare nelle nostre realtà con una sola certezza: dobbiamo sapere a chi appartiene realmente il nostro cuore. E il cuore non può essere diviso: o è di Gesù o è del mondo; o è del Cielo o è della terra; o è di Dio o è degli uomini. Chi vuole seguire Gesù lo può fare solo se il suo cuore è tutto per Lui, altrimenti le cose di questo mondo se lo riprenderanno. Se il cuore non è tutto di Gesù siamo stolti come quell’uomo che ha iniziato a costruire la torre ma poi non l’ha portata a compimento. Siamo stolti come quel re che con diecimila uomini vuole sconfiggere chi gli viene contro con ventimila. È questa la stoltezza che rende debole il discepolo di Gesù. Il Vangelo proclamato può sembrare difficile, ma se capito e vissuto davvero è la Buona Novella del Regno dei Cieli, è Parola di serenità e di libertà, è pienezza di vita e di cuore. Non resta che farla propria, anche se rispetto alle pretese del nostro io e agli insegnamenti del mondo va contro corrente. Ma la Grazia di Dio – e questa è una grande certezza – sa aprire cuore e mente a chi è uomo di buona volontà. Possa donarci il Signore il dono del discernimento per imboccare la strada giusta, per camminare sui sentieri di Dio, sempre! Solo se faremo così daremo possibilità a Dio di scrivere dritto sulle righe storte della nostra esistenza che è chiamata sin dall’eternità ad essere vissuta pienamente assieme a tutti gli uomini di buona volontà.

Fra Frisina

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