“L’ombra del Sire di Narbona” la ricerca del DNA in una favola dell’800

Casa_di_dante,_fi,_diorama_battaglia_di_campaldino_01Forse pochi conoscono una raccolta di favole le “Novelle della Nonna” scritte a metà dell’ottocento da una scrittrice italiana Emma Parodi. Una raccolta di favole popolari delle zone del casentino in Toscana.

Tra queste ce n’è una molto interessante che sembra percorrere con la fantasia le grandi indagini scientifiche del nostro tempo. La novella si intitola  “ L’ombra del Sire Amerigo di Narbona” e racconta la storia di un Principe, il Sire Amerigo di Narbona,  che fu ucciso nella battaglia di Pian Campaldino, avvenuta tra i Fiorentini e Aretini, a cui si dice avesse partecipato anche Dante.

Allora non si usava seppellire i morti in battaglia e quindi sul Pian del Campaldino rimasero per tanto tempo i resti dei combattenti caduti. Tutti evitavano di passare in quei luoghi soprattutto la notte, perché era ancora possibile sentire le urla dei feriti e si vedevano vagare i fantasmi dei soldati caduti.

Una sera un gruppo di nobili del luogo fece una scommessa. Chi avesse avuto il coraggio di passare per venti volte sul campo di notte, avrebbe avuto in premio l’armatura del Sire di Narbona. Tra gli astanti uno solo accettò, il Conte Guido Selvatico di Pratovecchio. Il Conte promise che avrebbe corso nel campo di notte per venti volte, munito di una torcia accesa, in modo tale che gli altri, da una torre, potessero verificare che lui non barava.

Il Conte iniziò a correre nella notte sul campo, assalito dai fantasmi dei soldati caduti. Ma mentre correva gli apparve l’ombra del Sire di Narbona che bloccando la cavalcatura, lo rimproverò per aver profanato per una vile scommessa un luogo di tanto dolore, e gli chiese per penitenza di ricomporre tutte le sue ossa, sparse sul terreno insieme a quelle di altri soldati, e dargli degna sepoltura.

Terrorizzato il Conte Selvatico, promise, ma senza tanta convinzione di fare quello che l’ombra gli ordinava. Il giorno dopo tornato sul campo di battaglia raccolse delle ossa, alla rinfusa  sperando così di liberarsi del fantasma.  La notte ricomparve il fantasma di Amerigo di Narbona  dicendogli che le ossa raccolte non erano tutte le sue, ma mischiate con quelle di altri soldati,  e quindi la promessa non poteva considerarsi valida.

A quel punto il Conte Selvatico ricominciò la ricerca, ma pur sforzandosi a metter insieme le ossa del defunto Sire di Narbona non riusciva a completare l’opera, proprio perché era impossibile distinguerle dalle altre. Tutte le notti il Sire di Narbona appariva al Conte Selvatico chiedendo di rispettare la promessa. Il poveretto pur continuando la ricerca, non riusciva a comporre tutte le ossa, non dormiva più, non mangiava più ed era ormai era allo stremo delle forze.

Venne i suo soccorso un frate che gli consigliò un semplice modo per riconoscere le ossa. Con un cero pasquale doveva far cadere delle gocce di cera sulle ossa.  Se la cera si liquefaceva le ossa non erano del Sire di Narbona, se invece la cera si solidificava poteva essere sicuro di aver trovato i resti. Grazie a questo stratagemma il Conte Guido Selvatico riuscì a rimettere insieme le ossa del Sire Amerigo di Narbona e dargli cosi degna sepoltura.

Una bella favola che sembra prevedere le moderne scoperte del DNA.

di Gianfranco Marullo

foto: it.wikipedia.org

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