E’ opinione comune che la causa principale del problema migranti siano i conflitti. Questo vale, soprattutto, per il fenomeno dei rifugiati politici. Per quanto riguarda i migranti “economici” invece, la causa è il modello imposto dai paesi economicamente più avanzati e basato sul controllo delle colture agricole, con l’acquisto di enormi quantità di terreni da utilizzare per produzioni funzionali all’economia capitalistica e non a quella locale. Se si pensa che almeno il 50% della popolazione mondiale vive in aree rurali ed è direttamente minacciata da questi fenomeni, si stima che, nel 2050, ben 3,7 mil.di di persone saranno senza lavoro. Prepariamoci ad accoglierli in massa e a trovargli un occupazione!
Il Land grabbing
Il fenomeno dell’accaparramento delle terre agricole (land grabbing), nel terzo mondo è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni, in coincidenza con la crisi finanziaria e coinvolge investitori privati e istituzionali, in cerca di business più redditizi. Nel Terzo Mondo, soprattutto in Africa, infatti, i campi da coltivare sono tanti e, per l’uomo d’affari occidentale – ma anche orientale – che si presenta in giacca e cravatta, è molto facile stringere accordi commerciali con i politici africani: basta saper “oliare” i meccanismi giusti e, con cifre irrisorie, si ottiene facilmente l’esclusiva dei diritti di sfruttamento dei terreni per la durata di decenni.
La Banca Mondiale, nel 2011, ha calcolato ben 56,6 milioni di ettari investiti da tale fenomeno (quasi le dimensioni della Francia, ndr) e, nel 2012, l’osservatorio Land Matrix, ne ha individuati altri 80 milioni. L’entità esatta, tuttavia, è impossibile da stabilire. L’accaparramento, infatti, spesso avviene con il consenso delle autorità locali, spiazzando completamente la piccola produzione agricola, in mano alla popolazione locale, che produce per la sua sussistenza.
E’ il caso della Daewoo, la multinazionale coreana che non produce soltanto auto o cellulari. Nel 2008 firmò un accordo con il governo del Madagascar per l’acquisto di 1,3 milioni di ettari di terra (sul totale di 2,5 milioni di ettari di tutta la terra coltivabile dell’isola) a meno di 3 dollari all’anno. Secondo l’accordo siglato dalle parti, quelle terre sarebbero dovute diventare monocolture intensive di cibo e di biocarburante. Ma per chi? Non certo per la popolazione malgascia!
Semi brevettati che fruttificano una sola volta!
Inoltre, le società investitrici riescono a creare miseria nei paesi del terzo mondo, anche se non riescono ad acquistarne le terre, controllando ugualmente ciò che il contadino coltiva. Oggi il mercato dei semi a livello mondiale, infatti, è dominato soltanto da tre società, che insieme detengono il 53% del totale del mercato: la Monsanto (USA), che da sola ne detiene circa il 27%, la DuPont (multinazionale USA del settore chimico) e la Syngenta (a sua volta controllata dalla multinazionale svizzera Novartis, produttrice di farmaci).
Nel 1994, il WTO-Organizzazione Mondiale del Commercio, su pressione degli Stati Uniti, ha approvato una norma per la quale le aziende avrebbero potuto creare e brevettare semi ibridi in grado di fruttificare una sola volta e, quindi, non utilizzabili per una nuova semina. Pertanto, il contadino che acquistato una determinata pianta è costretto comprarne ogni anno di nuove, dalle aziende in possesso del relativo brevetto. Inoltre, per ogni seme, le aziende vendono in abbinamento i propri fertilizzanti o pesticidi, senza l’uso dei quali potrebbero essere produttivi.
Le monoculture generano povertà e migranti
Domanda. Chi obbliga quei contadini a comprare proprio quei semi e perché non continuano a coltivare i loro prodotti tradizionali, funzionali al loro nutrimento? Le leggi di mercato. Perché i prodotti tradizionali hanno un mercato interno che rende quasi nulla, mentre le semenze delle multinazionali possono essere esportate nei paesi ricchi, con un ricavo maggiore. Il risultato: la sottrazione di altro cibo da parte dei ricchi a scapito dei poveri. Che sono costretti a migrare.
(Foto: www.dw.com – www.giornalettismo.com)
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