Le operaie, la viscosa e il lago

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Che cosa hanno in comune un lago e la viscosa?

Entrambi possono essere creati dalla mano umana, a partire da ingredienti naturali, l’acqua nel caso del lago, la cellulosa per la viscosa. E le operaie?

A volte i destini si intrecciano in modo imprevedibile, la natura si riprende i suoi spazi, coprendo le tracce delle vicende umane come se ne avesse compassione.

Ma partiamo dall’inizio.

Cos’è la viscosa

La viscosa è un filato artificiale che imita la morbidezza e la lucentezza delle fibre pregiate, per cui veniva un tempo anche chiamata “seta artificiale”.

Viene prodotta a partire dalla cellulosa contenuta nella polpa di legno degli alberi, nel cotone o nella paglia, che viene trattata con una soluzione di soda caustica (NaOH o idrossido di sodio); si aggiunge, poi, solfuro di carbonio (CS2) e si forma lo xantogenato di cellulosa, un composto di colore giallo. La soluzione ottenuta, denominata “viscosa” per la sua consistenza sciropposa, da cui prendono il nome il processo di fabbricazione e il prodotto ottenuto, viene estrusa; i filamenti che escono dalla filiera formano il filo che viene avvolto sulla macchina di filatura. Questo filo lavato e asciugato su appositi cilindri a vapore è pronto per le lavorazioni tessili della viscosa o rayon.

La fabbrica della SNIA Viscosa

Negli anni successivi alla prima guerra mondiale, a Roma si registrava un notevole incremento demografico dovuto all’immigrazione dalle zone circostanti e dalle altre regioni. Chi veniva a lavorare a Roma trovava occupazione principalmente nell’edilizia (soprattutto gli uomini), ma anche nei pubblici servizi e nelle fabbriche che nascevano in quegli anni. Nel 1922, in località Acqua Bullicante, lungo la via Prenestina fu costruito lo stabilimento di Roma della Società generale Italiana della Viscosa per la produzione di seta artificiale. Nel 1923, vi erano al lavoro 2500 operai, prevalentemente donne.

Lo stabilimento nel corso degli anni fu sempre più legato alla politica economica del regime fascista, per il quale produceva anche le uniformi militari. Il rapporto tra la produzione e la guerra potenziò la fabbrica finchè l’Italia fu impegnata nelle operazioni militari. Finita la seconda guerra mondiale si avviò un lento declino, che portò lo stabilimento ad avere sempre meno operai, fino alla chiusura del 1954.

La vita delle operaie

Le donne lavoravano come operaie nel reparto tessile: la loro paga era inferiore a quella degli uomini, impiegati nel settore chimico, perché il loro lavoro era considerato meno specializzato.

La fabbrica era stata ideata come uno spazio totale, in cui si svolgeva tutta la vita degli operai, anche il tempo libero: venivano organizzati per le operaie corsi di cucito, ricamo, attività domestiche ed educazione fisica.

Per le lavoratrici che provenivano da fuori Roma e non avevano amici o parenti che potessero accoglierle esistevano un dormitorio ed un asilo nido dove lasciare i bambini durante il lavoro.

Nonostante la presenza di questi servizi, però, la vita delle donne nella fabbrica era durissima: potevano essere assunte anche molto giovani, intorno ai 16 anni, e il loro percorso lavorativo era fortemente precario e completamente determinato dalle necessità e dalle convenienze delle politiche aziendali. Dovevano lavorare su turni di sette giorni su sette e avevano poche tutele per la maternità e per la malattia, quindi spesso venivano licenziate perché dovevano assentarsi per accudire i figli o qualche parente malato, oppure perché loro stesse si ammalavano; se aspettavano un bambino, per non perdere il posto erano costrette a lavorare quasi fino al nono mese.

Le malattie professionali

Il solfuro di carbonio è una sostanza tossica, che provoca danni agli organi in caso di esposizione prolungata o ripetuta, grave irritazione oculare e cutanea, ed è sospettata di nuocere alla fertilità e al feto.

L’intossicazione avviene prevalentemente per via respiratoria, in forma acuta caratterizzata da cefalea, eccitazione e confusione mentale, torpore, coma, epatite, nefrite, talvolta morte per blocco del centro respiratorio.

La malattia professionale dei lavoratori addetti ad attività in cui si adopera solfuro di carbonio è detta solfocarbonismo, e provoca deficit neurologici sensitivo-motorî, psicosi di diverso tipo, vasculopatie ipertensive, disturbi gastro-enterici, renali, ecc.

La prevenzione delle malattie professionali e la tutela della salute dei lavoratori in Italia è una conquista recente. Basti pensare che la prima legge che regolamentava in maniera organica tutta la materia della sicurezza nei luoghi di lavoro è stata emanata nel 1992.

Chissà quante malattie, morti e malformazioni neonatali ha causato il solfuro di carbonio in quegli anni!

La rivincita della natura

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Nel 1982 la SNIA cedette i terreni a un’immobiliare per la costruzione di un immobile con destinazione produttiva. Nel 1992, durante gli scavi per la costruzione di un parcheggio interrato, fu intercettata la falda di un’acqua minerale purissima, che cominciò a sgorgare e a riempire l’invaso artificiale creatosi con i lavori.

Evidentemente si era fatta poca attenzione alla storia della località, che si chiamava appunto Acqua Bullicante, e non si sapeva che proprio lì sotto, a soli 5 metri dal piano di campagna, si trovava una falda acquifera.

All’inizio, nel tentativo di scongiurare il blocco dei lavori, la società di costruzioni mise in atto un espediente, convogliando il flusso d’acqua nelle fognature. Questo determinò però l’esplosione delle condotte, con conseguente allagamento di largo Preneste. L’acqua ha invaso completamente lo scavo rendendo l’area impraticabile a ulteriori lavori di costruzione, creando così un laghetto che la vena continua ad alimentare ancora oggi, garantendone l’equilibrio idrico.

Nel giugno del 2020 è stato istituito il monumento naturale denominato Lago ex SNIA – Viscosa, o anche lago Sandro Pertini.

Il lago oggi fa parte del parco pubblico detto “delle Energie”. Le sue acque sono pulite e balneabili e vi sono possibili attività sportive come la pratica della canoa e del nuoto. Il parco presenta una ricca biodiversità: infatti nell’area sono presenti 359 specie spontanee di piante superiori, per lo più tipiche dei pascoli della campagna romana.

Particolarmente ricca è l’avifauna: sono presenti 72 specie, come il germano reale, il martin pescatore, il fagiano comune, insieme con specie di passaggio come il falco pellegrino e la beccaccia.

Insomma, la natura si è ripresa il suo spazio, per una volta ha mandato a monte un progetto a scopo di lucro, restituendo ai cittadini un’area dove si passeggia, si gioca si sorride. Lo scheletro della fabbrica è ancora lì e, guardandolo, rivolgiamo un pensiero alle operaie che vi hanno lavorato, vissuto e sofferto.

*Biochimico, direttrice del  Laboratorio Rischio Agenti Chimici dell’INAIL

Foto di copertina Tama66 da Pixabay; foto nel testo di Giovanna Tranfo Tuozzi

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