La vera medicina alle molteplici ferite dell’umanità è “l’amore fraterno”

“Per sempre benedirò il tuo nome Signore” (Sal 144). È la lode del salmista che con gioia ci invita anche oggi, Pasqua della Settimana, a glorificare il nome del Signore e ad esaltare il suo amore. Con la stessa gioia del salmista, mentre ci accingiamo ad accogliere in mezzo a noi Gesù, vivo e vero nell’Eucarestia, vogliamo rafforzare i vincoli di comunione con il comune impegno di “portare con Lui il giogo soave della croce e di annunziare agli uomini, nello stesso tempo, la gioia che viene da Lui solo” (cfr Colletta). Carissimi fratelli e sorelle, con la celebrazione dell’odierna Domenica si apre un lungo periodo che liturgicamente definiamo “tempo ordinario”. Per circa cinque mesi, infatti, la Parola e l’Eucarestia ci accompagneranno assiduamente nell’ordinarietà della vita e nell’avvicendarsi del tempo lasceremo vagliare dalla forza purificante del Vangelo ogni nostra gioia e tristezza, ogni vittoria e sconfitta. Prestiamo ascolto, dunque, alla voce del Signore che anche nel periodo del riposo estivo ama parlare ai suoi figli “da cuore a cuore”. Chiede di poter entrare silenziosamente nella nostra esistenza: plasmi il cuore di ciascuno secondo il suo cuore perché, come Lui, possiamo camminare sui sentieri della nostra Palestina. Quando Gesù percorreva le città e i villaggi della Galilea avvertiva una grande compassione per le folle. Queste, stanche e sfinite, erano come “pecore senza pastore” (Mt 9,35). Lo sguardo che Gesù posava su quella gente sembra arrivare fino a noi. Come non ricordare quei fratelli schiacciati da condizioni di vita impossibili e senza punti di orientamento che possano realizzare a pieno la loro esistenza? Come dimenticare i popoli dei paesi sottosviluppati provati dall’indigenza e quelli delle nazioni opulente che allo stesso modo sono provati fortemente dall’insoddisfazione e dalla depressione? Pensiamo, inoltre, ai tanti sfollati e rifugiati, a coloro che emigrano mettendo a repentaglio anche la loro stessa vita. Tale scenario, nudo e crudo, sta sotto i nostri occhi. Tuttavia, lo sguardo amabile di Gesù accarezza anche questa povera gente, provoca e, nello stesso tempo, invita: “Venite a me!”. Egli promette il “ristoro” alla nostra stanchezza, ma ad una condizione: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11, 29). Il giogo di Gesù, quindi, invece di pesare alleggerisce e invece di schiacciare solleva; esso ha un nome: “legge dell’amore”, espressa nel comandamento che Egli ha voluto lasciare ai suoi amici prima di salire sulla croce. Cari fratelli, la vera medicina alle molteplici ferite dell’umanità è “l’amore fraterno” che è tale solo se ha la sua sorgente nell’amore di Dio. Proviamo a pensare un attimo: tutti i mali presenti nel mondo hanno una radice comune: la superbia, fonte di ogni ingiustizia che induce l’uomo a scartare Dio dalla sua vita facendolo vivere da schiavo sotto “il dominio della carne” (Rm 8,9). La creatura che in origine era cosa “molto buona”, dunque, scegliendo di rifiutare Dio, sceglie di andare alla deriva, perde ogni suo orientamento e tronca il dialogo d’amore instaurato da Cristo con il Creatore. Chi vive nella superbia avverte tremendamente il disagio di tale condizione; costui sa bene di essere lontano da Dio e di aver stipulato con il peccato un compromesso; questo lo rende schiavo della carne, le cui opere inevitabilmente si posizionano al timone della sua vita. Il superbo altera tutto e giunge a viziare anche quelle poche virtù che riesce a praticare: la carità diventa interessata, l’umiltà “un fare accattivante” e la mitezza solo una rinuncia momentanea. Lungi da noi tale condizione deplorevole! Vogliamo appartenere solo al Signore e conformare il nostro cuore al suo cuore mite, umile, paziente e misericordioso. Una volta sperimentato il peso del peccato è necessario far crescere la nostra unione con il Signore e, quindi, affrontare vittoriosamente la naturale fragilità. Come già profetato da Zaccaria (Zc 9,9), Gesù entra a Gerusalemme vittorioso per conquistare il cuore dell’uomo non con la forza delle armi ma con la potenza dell’amore. Tale agire, soprattutto per la logica della nostra epoca, potrebbe fare di Gesù uno sconsiderato, un perdente, un debole; ma Egli è già vincente perché, acceso d’amore, può donare solo amore; Egli è mite, quindi, vincente, poiché sono “i miti ad ereditare la terra” (Mt 5,1). Anche noi, fratelli e sorelle, vinciamo se siamo miti e umili di cuore, come Gesù. Lavoriamo incessantemente nella vigna del Signore, ristorati dall’acqua dello Spirito Santo: è Gesù che ce lo ripete: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita” (Mt 11,29). Egli, il Principe della pace, ci chiama non per organizzare imprese belliche, non per prometterci il bottino di guerra o la gloria delle imprese; ci invita a sé per darci ristoro, vita; ci invia nel mondo non per distruggere ma per far crescere e per liberare. Ritorniamo ad essere umili! La chiesa, soprattutto, è chiamata in prima persona ad essere umile. E chi ci aiuterà in tutto questo? Maria, l’aiuto dei cristiani! Da Maria ereditiamo l’educazione all’umiltà, all’amore, alla fortezza d’animo, all’esercizio dell’autorità, alla preghiera perché insieme possiamo contribuire al progresso del bene comune e alla costruzione di una società migliore, secondo il cuore mite ed umile di Gesù. Appena qualche giorno fa abbiamo celebrato la memoria liturgica del suo Cuore Immacolato. Ci aiuti la Vergine Santa a prendere con decisione il giogo leggero di Gesù per sperimentare il dono della pace e diventare, a nostra volta, consolatori di coloro che come noi affrontano con fatica i percorsi della vita. Gesù, mite e umile di cuore, rendi il nostro cuore simile al tuo; questo il nostro anelito più grande. Amen.

Fra’ Frisina

Foto: officinedelleillusioni.wordpress.com

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