La Russia, i russi e i rifugiati

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La Russia sta affrontando da anni un problema che è comune a tutti i paesi europei: decrescita demografica e invecchiamento della popolazione. Per risolvere tale problema i governi hanno in genere tre possibilità: promuovere l’accoglienza e la cittadinanza dei migranti, spingere la natalità interna, oppure spostare forzatamente gruppi di persone da un territorio a un altro. Quest’ultimo punto potrebbe essere aggiunto come uno dei motivi scatenanti dell’invasione: l’integrazione forzata di un certo numero di nuovi cittadini entro il confine della federazione tramite l’allargamento dei confini della stessa. In parte questa finalità è stata raggiunta.

Già fin dal 2014, con l’inizio dei conflitti fra l’Ucraina e i separatisti del Donbass, molti residenti nelle zone colpite decisero di spostarsi verso l’entroterra ucraino oppure, appunto, verso la Russia. Questo aspetto si è accentuato nel 2022, anche grazie a una legge che promuove la facilitazione burocratica nelle zone occupate per l’ottenimento della cittadinanza russa. Tuttavia, come è tristemente chiaro, i russi in realtà potrebbero perdere molti più cittadini di quelli che ne guadagnano in quanto il numero di soldati che muoiono durante i combattimenti è sempre crescente. Inoltre, c’è un certo numero (difficilmente quantificabile in realtà) di cittadini russi che ha lasciato la patria già da Febbraio e che è ulteriormente incrementato dopo la mobilitazione parziale imposta dal presidente Putin a metà Settembre.

I russi e la Russia

Un elemento che a volte sfugge nel descrivere la Russia, o meglio la Federazione Russa, è che essa è popolata da 144 milioni di cittadini che tuttavia appartengono a gruppi sociali diversi, ben distinti e distribuiti su un territorio enorme. Per fare qualche esempio: all’estremo est esiste l’Oblast autonoma ebraica, istituito da Stalin nel 1934 appositamente per persone di etnia ebraica; al centro della Siberia c’è l’enorme Repubblica di Sacha, o Jacuzia, 3.000.000 km2 di territorio, temperature invernali che raggiungono i -50 gradi celsius, 900.000 abitanti di cui la metà si esprime in lingua jacuta, di origine turca; o ancora, il Daghestan, al confine con l’Azerbaijan, con popolazione in maggioranza di religione islamica e con una storia legata all’impero Ottomano e Persiano. Questi elementi, apparentemente banali, sono importanti perché fanno capire come sia difficile inquadrare il popolo russo come un gruppo coeso di persone che hanno le stesse aspirazioni politiche, la stessa qualità della vita, gli stessi valori e principi. In più, solamente su alcuni di essi pesano più gravemente le decisioni delle politiche governative di Mosca. Il potere è infatti centrale e mantenuto dagli oligarchi che vivono nella capitale o a San Pietroburgo, mentre le zone più povere subiscono gli effetti più pesanti delle decisioni del Cremlino: la maggior parte dei soldati inviati e morti in guerra provengono dalle regioni (Oblast) più a est, le quali hanno visto pure gli aumenti più alti dei prezzi causati dalle sanzioni occidentali. Sono anche le zone che faticano di più a protestare contro politici e polizia e gli uomini che abitano qui hanno meno speranze di scampare alla leva militare obbligatoria: essendo più poveri non possono ne fuggire all’estero né corrompere un ufficiale, dall’altra parte la paga da soldato è per loro allettante poiché alta rispetto gli standard di vita della zona. Perciò, i primi cittadini a lasciare il paese erano coloro che vivevano nelle zone più agiate, in grado di permettersi un mezzo per scappare, o anche un biglietto d’aereo che, dopo la chiamata alla mobilitazione parziale a Settembre, raggiungeva il prezzo più alto mai visto per i voli diretti verso Istanbul o Belgrado [come riporta l’Insider].

Si noti che i motivi che portano i russi a lasciare la Russia sono diversi: evitare l’arruolamento, emigrare in opposizione alle decisioni politiche, spostare la propria impresa o servizi col fine di evitare le sanzioni, scappare perché si ha un procedimento pendente a causa della partecipazione a manifestazione per la pace.

Ricordiamo che già a Marzo in un discorso alla nazione il presidente Putin aveva definito traditori e feccia tutti quelli che lasciavano il paese, ma come ciò fosse anche un bene per la nazione in quanto sarebbe stata fatta una pulizia interna che avrebbe lasciato in Russia solo i veri patrioti [vedi articolo di Reuters].

I paesi di destinazione

Come la maggior parte dei migranti, i russi scelgono quei paesi che per ragioni logiche si trovano a essere i più attrattivi per il momento date le seguenti caratteristiche: vicinanza geografica, vicinanza linguistica, accettazione del visto o del passaporto. In tal senso i paesi di prima scelta sono la Georgia, il Kazakistan e l’Armenia (lo sappiamo per i dati rilasciati dagli stessi stati [per esempio, articolo Meduza]).

Vi sono alcuni elementi problematici: il primo è che la Georgia è piuttosto ostile ad accogliere cittadini provenienti dalla Russia poiché è vivo e popolare il ricordo dell’invasione del 2008 che costituì la perdita dell’Ossezia del Sud a favore della Federazione Russa. Un altro dato è stata la ripresa dei combattimenti questa Estate fra Armenia e Azerbaijan (per volontà di quest’ultimi), segno che la Russia non è in grado di assicurare i confini disegnati dai trattati di pace nell’anno precedente e di cui il Cremlino era garante.

Altri paesi di arrivo sono la Turchia, l’Arabia Saudita e i Principati Arabi Uniti, destinazione soprattutto dei russi più ricchi che possono permettersi di vivere nelle migliori comodità offerte da quei paesi.

In Kazakistan la situazione è ben diversa. Non solo sono accolti i cittadini russi ma anche alcune imprese che stanno spostando lì le loro compagnie e i loro lavoratori: l’intenzione degli imprenditori è di sottrarre le proprie aziende e dipendenti dalla chiamata militare e, in parte, alle sanzioni occidentali [articolo cnn]. Dall’altra parte il Kazakistan, come anche il Kirghizistan, hanno consigliato ai propri cittadini di non spostarti in Russia per lavorare o arruolarsi (poiché un emendamento russo ha facilitato l’ottenimento della cittadinanza a coloro che si arruolano da paesi terzi).

Un ultimo aspetto seppure da marginale da considerare è un aumento dei prezzi per i servizi alberghieri e ristorazione in queste zone: l’arrivo di cittadini russi paganti ha portato ad aumentare i prezzi generali a discapito della più povera popolazione locale.

Accogliere o no?

Sebbene diversi paesi abbiano deciso di non concedere visti ai cittadini russi ci sono diverse correnti di pensiero riguardo l’accoglienza o il respingimento dei cittadini russi. Il primo è puramente burocratico: il visto in Unione Europea viene concesso a chi fugge dal proprio paese in quanto in patria non vedrebbe riconosciuta la propria libertà di espressione rischiando di conseguenza l’incarcerazione per i suoi pensieri [qui per approfondire]. Tuttavia è ancora in discussione se tale casistica si applichi anche alla Russia. Un altro quesito è più morale ed è l’idea che negando ai russi la possibilità di lasciare il proprio paese gli imporrebbe di conseguenza di intervenire direttamente contro lo stesso governo da cui vogliono scappare. Altro dubbio riguarda un vecchio punto di quando si parla di rotte migratorie: la paura che ci siano nascosti terroristi e spie fra i civili in fuga. Questo è un punto piuttosto debole perché, almeno per i casi precedenti di terrorismo europeo, i terroristi non seguivano le rotte migratorie e non c’è un fattuale aumento dei casi nei paesi di arrivo dei migranti [come riporta questo studio].

A favore dell’accoglienza, invece, c’è l’idea di stringere alla società europea cittadini russi già vicini agli ideali democratici promossi dall’Unione. I russi così formati, se mai torneranno in patria, potrebbero diventare i portatori degli aspetti positivi delle istituzioni e delle culture occidentali (in parte è un falso mito poiché città come San Pietroburgo e Mosca potevano essere considerate piuttosto “occidentali” prima dell’inizio del conflitto). Idealmente l’Europa si proporrebbe come una comunità di stati accoglienti dove dall’altra parte del confine vige l’imposizione, la censura e la limitazione a qualsiasi libertà.

Ovviamente il dibattito è complesso: è difficile prevedere gli effetti a medio e lungo termine su un’eventuale accoglienza o respingimento. Le motivazioni che spingono i vari stati sono pure commisurate al grado di confronto e vicinanza con la stessa Federazione Russa. I polacchi, per esempio, nutrono un profondo astio verso Mosca fin dalla dominazione Sovietica e si son trovati ben volenterosi ad accogliere numerosi Ucraini che fuggivano dalla guerra. Gli estoni riservano alcune preoccupazioni in quanto circa il 4% dei residenti nel paese è russofono con cittadinanza russa (e non estone, a causa di una difficoltà burocratica a ottenere la cittadinanza per questa minoranza), perciò temono ritorsioni di qualche tipo dalla Federazione stessa. I finlandesi stanno programmando di costruire un muro per evitare l’immigrazione clandestina dalla Russia, non solo da parte di russi in fuga ma anche di rifugiati che scappano dal medio oriente e che potrebbero venire trasportati fino a confini nordici in un modo simile a quello usato dai bielorussi per mettere in difficoltà polacchi e lituani appena un anno fa (a cui è seguita la decisione di aumentare la sicurezza di confine in quelle zone).

In Italia è quindi difficile prendere posizioni nette in merito a causa di una comunicazione interna viziata di contributi ideologici e un dibattito che non prende in considerazione elementi più delicati della questione come quelli solamente accennati nel presente articolo. Come evidenzia Dario Fabbri il popolo russo è in parte responsabile di questa situazione, ma dall’altra parte reportage dedicati ai cittadini russi come quelli proposti dal giornalismo di Meduza o di alcuni documentari [per esempio Legami Spezzati di Andrej Loshak] mettono in luce storie di una realtà variegata e complicata che dobbiamo necessariamente approfondire per avere una risposta chiara a questo quesito.

In copertina la Cattedrale di San Basilio, in Mosca: foto di Michael Siebert da Pixabay

1 risposta

  1. Patrizio Pavone

    Un articolo ben scritto con ricchezza di approfindimenti. Peccato non si parli del disagio delle donne, delle madri che vedono morire i propri figli in una guerra assurda, delle mogli spesso malmenate o vessate da mariti violenti, alcolisti e sempre assenti da casa, di un mondo femminile che cerca disperatamente un uomo, un amore o un marito all’estero per tornare ad essere felice o libero. A proposito della Siberia vanno ricordate le situazioni disperate della sanità pubblica da quarto mondo dove per sopravvivere se malati occorre avere rubli e fortuna……

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